La contrapposizione è civile ma dura. Al centro del ring c’è il salario minimo. Da una parte c’è Elly Schlein, sinistra. Dall’altra parte c’è Giorgia Meloni, destra. La prima ha ereditato un Pd allo sbando, la seconda guida Fratelli d’Italia trionfante, sulla cresta dell’onda.
La neosegretaria del Pd martella: «Ci batteremo per il salario minimo perché sotto una certa soglia non si può parlare di lavoro perché è sfruttamento». La presidente del Consiglio, leader di Fratelli d’Italia, ribatte: «Credo che l’introduzione del salario minimo legale non sia la soluzione più efficace». La Schlein vuole il salario minimo perché troppi lavoratori sono precari, in tanti guadagnano molto poco scivolando nella povertà. La Meloni boccia il salario minimo legale da introdurre per legge perché poco efficace; contropropone di puntare su una retribuzione minima allargando l’azione della contrattazione sindacale.
Le due donne stanno duellando da settimane: alla Camera, in piazza, in televisione, sui giornali, perfino al congresso della Cgil. La Meloni si difende intervenendo in “campo nemico”, al congresso della Cgil. Ma la Schlein raccoglie un’ovazione all’assemblea nazionale del più grande sindacato italiano.
Da fine febbraio, da quando Elly Schlein è stata eletta un po’ a sorpresa segretaria del Pd boccheggiante, dà battaglia continua: sui migranti, sulle tasse, sui diritti civili (donne, omo e transessuali), sull’ambiente, sulle energie alternative. Tuttavia ha posto e pone il salario minimo e il reddito di cittadinanza al centro del braccio di ferro con Giorgia Meloni e con il suo governo di destra-centro. Punta sul lavoro tutelato, sul potenziamento della sanità e della scuola pubblica. Nanni Moretti già nel lontano 1998, nel film “Aprile”, invocava deluso: «D’Alema di’ una cosa di sinistra».
Adesso la Schlein dice “una cosa di sinistra”. Per la prima volta il Pd è in ripresa. Nei sondaggi elettorali è di nuovo il secondo partito italiano e torna a superare il M5S di Conte. Sembra capace di costruire una alternativa al governo di destra-centro. La segretaria democratica dice “una cosa di sinistra” sui diritti sociali dopo tanti anni di un Pd concentrato soprattutto sulle compatibilità economiche e sui diritti civili delle minoranze. Ritempra il partito reduce da continue e pesanti sconfitte elettorali subite con Letta, Zingaretti, Renzi, Bersani. Rinforza l’unità interna, evita il rischio di altre scissioni. Anzi: imbarca nuove adesioni provenienti da sinistra, dai grillini perfino da Forza Italia. La battaglia di sinistra sui diritti sociali in tandem con quelli civili rincuora i vecchi militanti, entusiasma i giovani. Recupera tanti elettori disillusi rifugiatisi nell’astensione o nel voto ai cinquestelle. I sondaggi elettorali premiano il Pd targato Schlein: piace il salario minimo e il sostegno all’Ucraina aggredita dalla Russia senza dimenticare la necessità di percorrere anche la via politica oltre a quella militare.
Ora tutti l’appoggiano entusiasti nel partito, anche i vecchi capi delle correnti che tifavano per Stefano Bonaccini da lei definiti “capibastone e cacicchi”. Vedremo come finirà, le difficoltà sono tante nel partito e fuori. Ha imposto alla minoranza di Bonaccini due suoi fedelissimi come capigruppo alla Camera e al Senato: Chiara Braga e Francesco Boccia. Sono passati per acclamazione ma sotto traccia la contestazione interna è forte. Vedremo se riuscirà a imporre una svolta come il salario minimo. Un banco di prova è la nuova identità politica del Pd: la scommessa è di liberarsi della confusa scelta liberaldemocratica per passare a una riformista, socialdemocratica. Lei stessa avverte: l’obiettivo adesso «è non deludere».
Rodolfo Ruocco