BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

‘No al fascismo”. Petizione su Change.org

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Il presidente del Senato, Ignazio Benito La Russa, va definito con un termine preciso e netto: è uno spergiuro. La definizione più calzante perché, pur avendo giurato sulla Costituzione, che è figlia legittima della Resistenza antifascista, poi ne disprezza il senso. Le dichiarazioni rilasciate in merito all’atto di guerra partigiana di Via Rasella, per cui gran parte di coloro che se ne è assunto la responsabilità ha ricevuto medaglie al valore, costituiscono una negazione fattuale di 80 anni di storia repubblicana. Rappresentano un insulto non solo alle tante cittadine e cittadini romani che hanno combattuto con ogni mezzo all’occupazione nazifascista nel periodo durissimo che va dall’8 settembre del 1943 fino alla Liberazione, ma anche a tutta la storia a seguire, alle conquiste ottenute con le tante battaglie sul lavoro, sui diritti sociali e civili, per la pace, per l’applicazione completa del dettato costituzionale. La cultura che il senatore La Russa rappresenta in cui continua a riconoscersi, può essere definita come “neo”, “post” e tanti altri prefissi ma a cui segue il termine fascista. Una cultura per cui, forse con mezzi diversi da quelli utilizzati nel 1922, si ambisce a costruire uno Stato autoritario, oscurantista, xenofobo, fondato su una visione gerarchica della società. La reazione alle dichiarazioni di La Russa è stata più ampia di quello che forse ci si poteva aspettare. Tante le dichiarazioni di leader politici, di personalità della cultura, forte l’indignazione, soprattutto a Roma, città che, come ha ricordato anni fa lo storico Alessandro Barbero, è stata la capitale europea che più è risultata ostica all’occupante nazista. Su iniziativa di Maurizio Acerbo ed Elena Mazzoni è partita nel primo pomeriggio di sabato 1° aprile, una petizione on line tuttora attiva, https://chng.it/77HrTFPggJ , nelle prime 24 ore ha raggiunto le 15 mila firme, raddoppiate già lunedì e che mentre scriviamo ha superato il numero di 35 mila firmatarie/i. Tante le persone e le realtà associative che si sono immediatamente attivate per promuovere la petizione, il cui testo è semplice e permette a diverse culture politiche di sentirsi egualmente partecipi. Lo stesso, Barbero, altri storici come Angelo d’Orsi e Giulia Albanese, Maria Grazia Meriggi, Alessandro Hobel, Alessandro Hobel, Sandro Portelli, GianpasqualeSantomassimo, ma anche partigiani come Gastone Cottino, Aldo Tortorella e figlie di partigiani come Tiziana Pesce. E poi personalità della cultura come Guido Liguori, Paolo Favilli, Sandro Mezzadra, Domenico Gallo, Antonio Di Stasi e Raniero La Valle, dello spettacolo come Sabina Guzzanti, Francesca Fornario, Massimo Dapporto, Moni Ovadia, della politica – da Fausto Bertinotti, a Luigi de Magistris, del sindacato come Eliana Como, dell’economia come Emiliano Brancaccio, della società civile attiva come Marco Bersani, Vittorio Agnoletto, Giuseppe De Marzo, dell’informazione, ad esempio oltre al nostro Beppe Giulietti, Barbara Spinelli, Simona Maggiorelli, Tommaso Di Francesco, Alessandro Gilioli. E rappresentanze dei tanti mondi che costituiscono il vero antidoto della cultura antifascista italiana. Ma soprattutto sta emergendo come una petizione popolare, che coinvolge uomini e donne sconosciuti, al di fuori dalla partecipazione politica attiva, come purtroppo gran parte del nostro Paese, che non ha però accettato, anche emotivamente, l’ennesimo strappo ad una storia fatta di sangue, di vite perse, di persone che fanno ormai parte del nostro profondo pensiero, troppo spesso dimenticato. Non il passato ma il presente sembrano pesare se si vanno a leggere le centinaia di commenti alla petizione in cui si motiva la propria scelta. Un urlo di indignazione e un rifiuto del conformismo da pensiero unico su cui, soprattutto a noi che abbiamo il dovere di informare correttamente, dovrebbe far sorgere punti di riflessione.

Chi scrive sta lavorando sulla petizione, sta scorrendo il fiume di sano sentimento democratico che sembra levarsi dal susseguirsi di nomi, motivazioni, ringraziamenti per questa piccola ma concreta idea. Difficile, anche per le ferree regole parlamentari che queste portino ad un risultato politico concreto – mai dire mai – ma è possibile che almeno in alcuni dei decisori della vita di questo Paese, nasca il dubbio che non tutto è stato rimosso e normalizzato, che se la rassegnazione sembra farla da padrona, ci sono punti dolenti, cicatrici mai chiuse, questioni mai pacificate, su cui in tante e tanti ci si risveglia, si supera il torpore, si reagisce.

E ne è stata la prova la mobilitazione indetta da numerose aree della sinistra, che spesso faticano a dialogare fra loro e che si sono ritrovate il 3 aprile nel pomeriggio proprio a Via Rasella. Fra i tanti, spesso toccanti interventi in una strada affollata e bloccata da persone senza bandiere, senza bisogno di bandiere di distinzione, una frase è stata più volte ripresa, anche in chiave autocritica. “Noi ricordiamo giustamente ogni anno il vile massacro delle Fosse Ardeatine è stato detto. Importante continuare a farlo ma – ed è un ma di enorme portata – noi dovremmo tornare ogni anno anche qui a Via Rasella dove un gruppo di giovani, con i pochi strumenti che avevano, riuscirono a portare il terrore in una colonna di 150 soldati tedeschi, già autori di feroci rastrellamenti e i cui sopravvissuti continuarono a occupare il Paese”. Ovvero dobbiamo continuare a ricordare non solo chi è stato ucciso dalla barbarie nazifascista, in Italia come nell’ “Impero” in Africa Orientale, ma anche chi ha combattuto dalla parte giusta. Chi ha messo a disposizione la propria vita, chi è finito nelle prigioni fasciste e naziste, da via Tasso alla “Pensione Jaccarino, inferno realizzato dalla italianissima “Banda Koch”, chi ha reso la vita impossibile agli occupanti nazisti e al collaborazionismo fascista. Quelle donne e quegli uomini, malgrado le ondate di revisionismo storico misto a falsità vere e proprie, con cui si è tentato di modificare la memoria, restano un richiamo forte, il segno che per la libertà si possa anche morire e combattere. Lo sdegno creato dalle dichiarazioni del presidente del Senato nasce da queste memorie tramandate più nelle famiglie che a scuola, più grazie all’Anpi e alle altre associazioni di partigiani che ai programmi televisivi che deturpano scientemente i fatti storici. Un racconto altro, vivo e non retorico, che guarda al futuro per non tornare al buio del passato. Un tema che, come operatori e operatrici dell’informazione, ci dovrebbe far interrogare sul senso profondo e sul valore della parola “antifascismo”. Anche per questo, come Art. 21 abbiamo svolto, nella mattinata del 3 aprile una riunione on line avendo come gradito e importante ospite Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale dell’Anpi. Con lui si è discusso di come sostenere queste giornate che ci porteranno verso un 25 aprile che avrà una connotazione molto diversa rispetto al passato. Il presidente ci ha tenuto a precisare che per infinite e a nostro avviso giustissime motivazioni, le istituzioni non saranno invitate quest’anno alle celebrazioni ufficiali della Liberazione, lo si era deciso prima delle meschine dichiarazioni di La Russa, anche perché i suoi colleghi di governo e le figure oggi in auge in troppi Comuni e Regioni italiane, hanno già dato ad intendere più volte quella che è la nuova realtà che si vuole imporre. Saranno molti gli appuntamenti in tutte le città italiane, dal grande corteo che attraverserà Milano alle iniziative sui territori, nelle scuole – nei giorni precedenti – negli spazi di aggregazione. Una adeguata collaborazione con i mezzi di informazione e con chi ci lavora è stata considerata, nel corso della riunione, come cosa data da far realizzare in ogni luogo; spetta all’Anpi e alle altre associazioni di partigiani, ricordarci la via, spetta a noi non sbagliare strada e fare in modo che quello resti il giorno in cui tutta l’Italia libera e democratica, sappia ritrovarsi insieme.


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