Che Ignazio Benito Maria La Russa non fosse degno di ricoprire la seconda carica dello Stato, era risaputo sin dal giorno della nomina. E’ vero che in questi ultimi trent’anni tra presidenza del Senato e della Camera ne abbiamo visto di tutti i colori. La Russa è un protagonista della scena politica, prima milanese, poi lombarda, infine nazionale, da quando, giovane studente di giurisprudenza a Pavia abbracciò il neofascismo iscrivendosi al Fronte della gioventù, e da quando il suo nome cominciò a comparire, tra la fine degli anni 60 e inizio 70, nelle segnaletiche degli archivi della questura di Milano, per la sua attività di membro del servizio d’ordine della sede missina di via Mancini durante le manifestazioni non solo studentesche, seguendo le orme del padre che negli anni 40 era stato federale a Paternò poi con l’inizio della Repubblica senatore dell’MSI. Da sempre al seguito della fiamma tricolore, un amore mai nascosto, che da Almirante l’ha portato ad essere uno dei fondatori, con Guido Crosetto e Giorgia Meloni, di Fratelli d’Italia. Bisogna dare atto a La Russa che, contrariamente al suo capo Meloni, non ha nessuna difficoltà a pronunciare le parole fascismo e nazismo. Partendo dall’ultimo incidente di percorso, come lo è stato definito da amici e nemici, sulla causa che portò all’eccidio delle Fosse Ardeatine del marzo ’44 che, secondo il presidente del Senato, fu una delle pagine più ingloriose della lotta di Liberazione, perché i partigiani gappisti uccisero, in un’imboscata in via Rasella, “non biechi nazisti delle SS ma una banda musicale di semi pensionati altoatesini”, negando ciò che la storia insegna: erano nazisti del battaglione del Polizeiregiment Bozen che operava, durante l’occupazione di Roma, con funzioni di polizia sotto gli ordini di ufficiali delle SS, un battaglione che nell’agosto sempre del ’44 fu coinvolto in altre stragi come quella della Valle del Biois nel bellunese. Tutto ciò nel tentativo di aiutare la Meloni, impantanatasi durante la commemorazione dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, per aver definito i 335 trucidati solo cittadini italiani senza ricordare che erano antifascisti, partigiani, ebrei, motivazioni per la quali il loro nome era presente nelle liste che fascisti italiani avevano consegnato a Herbert Kappler comandate delle truppe tedesche nella capitale sotto gli ordini del feldmaresciallo Albert Kesselring. Dopo la polemica sollevata dalle sue parole, immediatamente La Russa ha coretto il tiro affermando di essersi sbagliato a non definire i 33 tedeschi uccisi dai partigiani anche nazisti. Una tattica più volte usata dal senatore: dichiarare e poi, se necessario, scusarsi. La Russa, dopo la crisi di Alleanza Nazionale, portando in dote una fetta dell’elettorato lombardo, quello che non aveva aderito alla Lega, si è aggregato al Popolo delle Libertà di Silvio Berlusconi, ripagato, dopo il successo elettorale del 2008, con il ministero della Difesa che ha mantenuto fino alla caduta del governo avvenuta nel 2011. In questi anni Ignazio La Russa ha avuto come unico obiettivo quello del revisionismo storico usando una strategia: mai negare la Repubblica nata dalla Resistenza ma considerarla al pari con quella Sociale nata dopo l’8 settembre ’43, per lui, quei giovani che con la camicia nera avevano seguito il Duce a Salò unendosi ai nazisti, sempre presenti durante le stragi di civili innocenti, bambini, donne, vecchi, erano “ragazzi che credevano in un ideale”. Alla prima occasione da ministro, a Roma a Porta San Paolo, 8 settembre 2008, in ricordo della Resistenza, nel giorno della nascita della nuova Italia libera dai nazifascisti e democratica, chiese di onorare i martiri della Repubblica sociale: “Farei un torto alla mia coscienza se non ricordassi che altri militari in divisa, come quelli della Nembo, dell’esercito della Rsi, combatterono credendo nella difesa della Patria”. Gli rispose in diretta il presidente della Repubblica Napolitano: “La Resistenza fu volontà di riscatto, eroico fu chi rifiutò di aderire alla Repubblica sociale”. Dopo la polemica, La Russa in tv per smentire l’esistenza di contrasti con il presidente Napolitano, inventati dai giornalisti di sinistra. Come a Gerusalemme dopo aver fatto visita al Muro del Pianto un giornalista gli ha chiesto: “Presidente il fascismo è stato il male assoluto?” Il senatore della Repubblica ha risposto: “No comment, non siamo in Italia”. Questo è solo l’inizio, ne vedremo ancora delle belle con questo governo di destra-destra, bisogna tenere alta l’attenzione ed essere pronti a riempire le piazze italiane contro tutto ciò che “odora” di fascismo e a difesa della giustizia sociale. Per questo hanno fatto bene i presidenti dell’ANPI di Milano Cenati e nazionale Pagliarulo a non ritenere sufficienti le scuse del presidente del Senato La Russa sui nazisti uccisi in via Rasella dai partigiani, non invitandolo alla manifestazione del 25 aprile, d’altra parte lui l’Associazione dei partigiani l’ha sempre definita: “Una foglia di fico della sinistra, una associazione che sfila con i centri sociali che fa comodo solo per tener altro il pericolo del fascismo che però non c’è più”.