Sono ormai dodici anni che Vik non è più tra noi. Centoquarantaquattro dolorosi mesi, per i suoi familiari, i suoi amici, le tante persone che lo amavano e stimavano. Ed eravamo, siamo in tanti.
Chiunque abbia avuto modo modo di sfiorarlo nella sua breve, generosa e intensa vita, non può che portare con se le tracce del suo passaggio nella propria esistenza.
In primis i palestinesi della Striscia di Gaza, dove Vittorio lavorava per la Ong International Solidarity Movement e dove aveva scelto di vivere.
Da attivista e cooperante trascorreva le giornate garantire assistenza alla popolazione sofferente ma anche organizzando dei corsi per i ragazzi.
Vittorio si proiettava come uno ‘scudo umano’ per salvare quei ragazzi dalle mitragliate dei soldati israeliani, con la sua semplice presenza, gli agricoltori che si avvicinavano (e continuano a farlo) al muro per raggiungere i loro raccolti, o i pescatori che, con le loro barche, affrontavano i e affrontano le mitragliate delle motovedette di Telaviv per portare cibo a casa. Ma soprattutto, nell’azione continua, appassionata, sul blog, su Facebook, per radio o con le corrispondenze per quotidiani e televisioni in Italia e in altri paesi, di denuncia della mostruosità di un assedio che colpisce solo i civili innocenti, e, ancora di più, di provocazione per un mondo esterno di istituzioni e media, che deliberatamente oscurano una realtà dove i diritti minimi delle persone sono uno miraggio.
Non amava essere definito un giornalista, ma Vik è stato per tutti noi l’unica fonte di informazione da Gaza durante l’operazione Piombo fuso, lanciata da Israele contro la Striscia a fine 2008. Ci raccontava le bombe che cadevano mentre lui stesso era a bordo dell’ambulanza che correva a recuperare i feriti. Quelle corrispondenze, pubblicate in primo luogo dal Manifesto, furono raccolte nel suo libro “Restiamo Umani”, un grande successo i cui proventi sono stati utilizzati per creare strutture per i bambini di Gaza. E anche dopo, ci raccontava come moriva di stenti un popolo costretto in una prigione a cielo aperto, o ci informava sulle aspettative riposte nella Freedom Flotilla, e poi la tremenda delusione e il lutto per i cooperanti turchi uccisi durante l’arrembaggio delle forze israeliane
Vittorio Arrigoni, che il governo d’Israele considerava persona non gradita, un avversario, è stato ucciso da palestinesi, un gruppo fondamentalista salafita. Al di là delle motivazioni mai veramente chiarite del suo rapimento e assassinio, resta il fatto che Vik rappresentava una presenza doppiamente scomoda perché costruiva dialogo e insegnava la via della pace e della non violenza ai ragazzi di Gaza, che crescono con le armi in mano e vivono la guerra come dimensione quotidiana, ma era anche un riflettore puntato a far luce su quella perenne violazione dei diritti umani fondamentali.
A dodici anni dal suo assassinio, però, sulla memoria del suo impegno è calato il silenzio, come è calato il silenzio sulle vicende e i drammi di Gaza: non c’è più nessuno lì oltre quel muro a parlarne. E anche da questa parte, nessun si spinge fin lì a buttare uno sguardo. E tutto questo ci sembra naturale, Gaza non ‘tira’ più come notizia come non tirano i palestinesi: ogni tanto vediamo passare distrattamente una notizia sull’ennesimo colloquio di pace o sulla visita di qualche politico europeo o americano “in Israele”, raramente in Palestina, praticamente mai a Gaza.
Quando ci sveglieremo una volta per tutte da questo sonno della ragione, quando capiremo che la sorte di Gaza è la sorte del Mediterraneo che è il nostro mare come il loro?
Se vogliamo davvero ricordare Vittorio Arrigoni torniamo sui suoi passi e raccontiamo di nuovo la morte ma anche la vita dei bambini di Gaza. In nome di un solo semplice principio: restiamo umani.