Difficilmente potremmo mettere a confronto due personaggi più diversi dai due Lucio che nacquero a poche ore di distanza l’uno dall’altro, entrambi in tempo di guerra, nell’anno di disgrazia 1943, l’uno a Bologna, l’altro in quel di Poggio Bustone (in provincia di Rieti), l’uno quintessenza dello spirito verace emiliano, l’altro della lazialita più autentica, schiva e, a tratti, sconsolata. L’uno era l’uomo ovunque, simbolo stesso di Bologna e del suo cantautorato, di casa nelle trattorie come al Dall’Ara, capace di discutere intensamente una notte con una prostituta e di trarne un capolavoro del calibro di “Disperato erotico stomp”; l’altro era l’artista malinconico per eccellenza, apparentemente freddo, disincantato, fragile, eppure capace di cantare, a sua volta, capolavori destinati all’immortalità.
Di queste due “preghiere in inverno”, per far riferimento a un altro gigante come Fabrizio De André, ci rimane la memoria e la bellezza, le loro interpretazioni autentiche e profonde, il loro coraggio, la denuncia che sempre caratterizzava soprattutto i testi di Dalla e la nostalgia romantica che pervadeva, invece, quelli di Battisti. L’uno deve tutto alla sua città natale, a quel crogiolo ardente di musica e politica, passioni intense e sentimenti fortissimi, PCI e case del popolo, case editrici e sport nella sua accezione più nobile; l’altro ha beneficiato dell’incontro con un mito come Mogol e con un altro protagonista del panorama musicale come Pasquale Panella. Dalla ha scomodato persino Gesù bambino e in Piazza Grande ha racchiuso l’anima di una terra e di un popolo: dai barboni alle prostitute, passando per l’umanità più vera, in questo molto simile a De André, solo che al posto dei carruggi genovesi aveva le vie ricche di storia di un universo che non ha bisogno di molte parole per essere narrato. Battisti, invece, guidava “come un pazzo a fari spenti nella notte”, in cerca di emozioni forti, meraviglie senza tempo ed esperienze da narrare, con la sua voce unica e inconfondibile che rendeva poetica qualunque lirica.
Non sappiamo quale possa essere la relazione fra la “puttana ottimista e di sinistra” di Dalla e gli infiniti mondi battistiani, ma sappiamo che noi li abbiamo amati e cantati a squarciagola entrambi. E ora che ci voltiamo indietro, constatando che non ci sono più, che se ne sono andati troppo presto e che nessuno dei due è arrivato non dico agli ottanta, che avrebbero festeggiato in questi giorni, ma nemmeno ai settanta, e nel caso di Battisti nemmeno ai sessanta, beh, comprendiamo davvero cosa sia stato il Novecento, con il suo carico di lutti e tragedie ma anche di libertà, canzoni epocali e sensazioni destinate all’eternità, proprio come i versi di questi due cantori moderni di un’Italia che non c’è più e ci manca tantissimo, se non altro per la sua spensierata follia, per la sua tragica leggerezza, per le sue vittorie e le sue sconfitte, per la sua libertà ormai scomparsa e per quell’istinto di sopravvivenza che ci ha sempre reso geniali, soprattutto quando sarebbe stato più facile arrendersi.
Dalla e Battisti li abbracciamo nello stesso inverno in cui piangiamo la scomparsa di Gina Lollobrigida, un’attrice in grado di conquistare l’America partendo da Subiaco, con la sola forza della sua spontanea e straordinaria bravura. Un’altra preghiera, l’ennesima, in questa stagione in cui a lacrimare non è solo il cielo e il nostro umore né risente, proprio come le nostre parole che faticano a scorrere, una dietro l’altra, ma danno comunque un senso al nostro abisso interiore, ora che le ideologie sono svanite, i sogni sono sempre meno e persino le canzoni non riescono più a contenere i nostri interrogativi sulla vita e sul domani.
Dalla e Battisti: ottant’anni che non possiamo festeggiare ma lo facciamo lo stesso, perché quei due diavoli angelici, in fondo, avrebbero voluto così.
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