Cerco ancora
alti nel cielo
segni
e striduli suoni
che nuova stagione porta
San Benedetto.
Venti av-versi
ritardano l’arrivo
alla meta cercata
che nel sangue
e nel volo
obbliga a trovare
ogn’anno.
Rondini a primavera.
Forse
invisibile traccia
segue
piccola bestia
come leggendo mappe
o antichi scritti
lingue desuete
e false
d’ignote strade
smarrite genti
vaganti nel passato.
Tale può giungere
garrito
all’udito distratto
rumori sovrapposti
a quotidiani pensieri.
Dicono
possieda magnete interno
cuore migrante
che correla
al segno suo
l’asse terrestre
richiamando
al giusto luogo
torme volanti.
E pure il sole
sorgente
all’orizzonte, svela
nell’equilibrio,
dolce stagione mezza,
esattamente
dove le ali allinear
e averne il verso.
Ma sogno
come vedessi
primi animali
volanti
brevi tragitti provare
enorme continente
la Pangea.
E nei milioni d’anni
l’allontanarsi
delle terre e
nel chiamarsi contrade
costringere
a seppur lievi
crescenti allungamenti
i nuovi voli.
Terra
quella che per ultimi
ci accolse
oggi e sempre
unita
da stormi in cielo.
Quaggiù
oltre al mare e
alla distanza
falsi confini
dividono
da uomo l’uomo
con spade e ferraglie
croci e lune tagliate,
anche per questo
in alto poste
a intimidire
anche gli ignari uccelli.
Orfeo
d’Euridice l’incontro
risorgente, vano
la nuova stagione
viene
se capire non sa
l’uomo d’adesso.
E Pasqua e Cristo
invano crocifisso.
Poco di noi
risalirà dal fondo
più fiori e vento
e qualche rigo scritto
da incerta mano
non anime di carne.
Le viscere e l’ossa
richiamano all’appello
corpo e la mente
a ragionar
d’istinto
e somme cose
del nostro passato odierno
riaffioranti relitti
di vita e specie
anche noi
forse eravamo uccelli.
Nei ricorrenti sogni
pur nell’età di mezzo
come ricordo vero
ritorna il volo.
Case perdute
e vuote.
E le madri antiche
aspettano
figli distratti
che non sanno ricordare
anniversari e tristi
eventi
che non sanno commuovere
né pace ridare
stolida mente
che non sa riprendere
vecchi nuovi tragitti
per tutti
unica meta.
Invece di bagnare
pioggia ritinge
di rossastre figure
come le foglie
i panni
al giorno stesi
nello stormir di notti
vibranti lampi
il buio schiara
solo un istante
che il più sempre
nero segreto alligna
tra anfratti profondi
in Terra
e al lato opposto
dove governa luce.
Più che in novembre
rotte smarrite
e ignote
sembra voler cercare
anche nel chiuso
caldo
mura prigion borghese.
Per questo un tempo
di tronchi marci
e vecchie cose
la notte illuminava
il fuoco
che in breve tratto
circoscritto
limitava il sogno
di fugaci furori.
Nella cenere
del dì seguente
ritornava il consueto
modesto risultato
di vicende ritrite
e vecchi usi
ridondanti sconfitte.
L’odore acre
e dolciastro
di bagnati tizzoni
rimanda sempre
al mese penitente
come chi tardi
giunge
al banchetto
che già la brace è spenta.
Quest’anno
come in ritardo giunto
l’atteso tepore
che crescenti mancanze
rimanda ed accomuna
l’uomo
all’animale fratello.
Forse proprio di lui
vorremmo avere
l’alta vision
d’insieme
e non aver dimora
che duri una stagione
sempre stranieri
ovunque
pur nello stesso cielo.
E da loro
la danza Teseo
apprese, e l’uomo
l’allegro canto
e forse la parola
e come i figli accudire
con ripetuti voli
alle bocche querule
oltre cibo amore.
Tanto natura insegna
basta guardare
e attendere
il giusto vento
e momento
alla stagion propizia.
Maggio verrà
a ingrigire
orizzonti stridenti
per ricordare all’uomo
come la messe chino
nostra condanna
e gioia
a dare buon raccolto.
Sudore a gocce
rappresenta
nostra maggior sostanza
che pur da noi
anch’essa
cerca nuova dimora
bagnando terra
e mani.
E dalla sabbia
non remoto deserto
giungono a noi
genti brunastre
anch’esse
come tortore a stagione
nuovi nidi formare
e riprodurre
sogni, figli e futuro.
E noi pure
cercammo e cerchiamo
diverse prospettive
varcando crespi mari
e confini
e usanze traslate
della verde Europa.
Non pietra ottusa
fermo macigno
polvere
diverremo e fummo.
E questa
come seme d’erba
vola portata alla ventura
forse oggi o domani
o se verrà risveglio
e apriremo i sepolcri
nostre sicure case.
In ogni dove ed era
l’uomo l’uccello
guarda
volar lontano
verso il calar del sole.
Sovvenendo il futuro.
Nessuna accoglienza
il dubbio
ormai sembra avere
e l’essere
che all’approdo giunga
sospinto dal vento
in poppa
alla mafiosa barca.
Cristiani
certo non sòno
come pure suona
nostro comportamento
stridente alle finzioni
convenienti atti
diritti all’uomo.
Niente migliora
oltre
nelle nostre coscienze
per l’odiato contatto
con sconosciuta
gente
giunta a far sentire
nostra ricchezza
enorme
pur se fuggiamo ancora
la povertà dei nonni.
Quasi nessuno scampa
a riprovar ribrezzo
solo
a guardare
chi tra i cartoni dorme.
Come senza riposta
ognuno resta
al dubbio
di quale verso
dare all’umana esigenza
che diviene
forse solo un istante
in ogni vita
in-continente
e fugace-mente
nota.
Pur non avendo ali
l’alea cerchiamo
tutti
ogni colore
varcando breve rio.
Poche certezze
dobbiamo
in ogni caso avere
che la migliore strada
è ad ognuno ignota
lasciando
già
la culla ed il diritto
dubbio beneficante.
L’aria è il mezzo
dove lanciar pensiero
e di essa
dovremmo
averne consistenza
demolendo principi
e regredenti istinti.
Basta guardare il cielo
che mai
pur nelle grandi torme
nostri volanti amici
scontro avvenne
ognuno
ha la sua rotta
e la stagione esatta
è già nel nostro sangue
odierna soluzione
tanti sali disciolti
infinita materia
in pochi litri
amore-volo
nostro universo interno.
Tracce.
Di ogni elemento noto. 333