Migranti (primavera 2003)

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Cerco ancora

alti nel cielo

segni

e striduli suoni

che nuova stagione porta

San Benedetto.

Venti av-versi

ritardano l’arrivo

alla meta cercata

che nel sangue

e nel volo

obbliga a trovare

ogn’anno.

Rondini a primavera.

 

Forse

invisibile traccia

segue

piccola bestia

come leggendo mappe

o antichi scritti

lingue desuete

e false

d’ignote strade

smarrite genti

vaganti nel passato.

Tale può giungere

garrito

all’udito distratto

rumori sovrapposti

a quotidiani pensieri.

 

Dicono

possieda magnete interno

cuore migrante

che correla

al segno suo

l’asse terrestre

richiamando

al giusto luogo

torme volanti.

E pure il sole

sorgente

all’orizzonte, svela

nell’equilibrio,

dolce stagione mezza,

esattamente

dove le ali allinear

e averne il verso.

Ma sogno

come vedessi

primi animali

volanti

brevi tragitti provare

enorme continente

la Pangea.

E nei milioni d’anni

l’allontanarsi

delle terre e

nel chiamarsi contrade

costringere

a seppur lievi

crescenti allungamenti

i nuovi voli.

 

Terra

quella che per ultimi

ci accolse

oggi e sempre

unita

da stormi in cielo.

Quaggiù

oltre al mare e

alla distanza

falsi confini

dividono

da uomo l’uomo

con spade e ferraglie

croci e lune tagliate,

anche per questo

in alto poste

a intimidire

anche gli ignari uccelli.

 

Orfeo

d’Euridice l’incontro

risorgente, vano

la nuova stagione

viene

se capire non sa

l’uomo d’adesso.

E Pasqua e Cristo

invano crocifisso.

Poco di noi

risalirà dal fondo

più fiori e vento

e qualche rigo scritto

da incerta mano

non anime di carne.

 

Le viscere e l’ossa

richiamano all’appello

corpo e la mente

a ragionar

d’istinto

e somme cose

del nostro passato odierno

riaffioranti relitti

di vita e specie

anche noi

forse eravamo uccelli.

Nei ricorrenti sogni

pur nell’età di mezzo

come ricordo vero

ritorna il volo.

 

Case perdute

e vuote.

E le madri antiche

aspettano

figli distratti

che non sanno ricordare

anniversari e tristi

eventi

che non sanno commuovere

né pace ridare

stolida mente

che non sa riprendere

vecchi nuovi tragitti

per tutti

unica meta.

 

Invece di bagnare

pioggia ritinge

di rossastre figure

come le foglie

i panni

al giorno stesi

nello stormir di notti

vibranti lampi

il buio schiara

solo un istante

che il più sempre

nero segreto alligna

tra anfratti profondi

in Terra

e al lato opposto

dove governa luce.

 

 

 

Più che in novembre

rotte smarrite

e ignote

sembra voler cercare

anche nel chiuso

caldo

mura prigion borghese.

Per questo un tempo

di tronchi marci

e vecchie cose

la notte illuminava

il fuoco

che in breve tratto

circoscritto

limitava il sogno

di fugaci furori.

 

Nella cenere

del dì seguente

ritornava il consueto

modesto risultato

di vicende ritrite

e vecchi usi

ridondanti sconfitte.

L’odore acre

e dolciastro

di bagnati tizzoni

rimanda sempre

al mese penitente

come chi tardi

giunge

al banchetto

che già la brace è spenta.

 

Quest’anno

come in ritardo giunto

l’atteso tepore

che crescenti mancanze

rimanda ed accomuna

l’uomo

all’animale fratello.

Forse proprio di lui

vorremmo avere

l’alta vision

d’insieme

e non aver dimora

che duri una stagione

sempre stranieri

ovunque

pur nello stesso cielo.

 

E da loro

la danza Teseo

apprese, e l’uomo

l’allegro canto

e forse la parola

e come i figli accudire

con ripetuti voli

alle bocche querule

oltre cibo amore.

Tanto natura insegna

basta guardare

e attendere

il giusto vento

e momento

alla stagion propizia.

 

Maggio verrà

a ingrigire

orizzonti stridenti

per ricordare all’uomo

come la messe chino

nostra condanna

e gioia

a dare buon raccolto.

Sudore a gocce

rappresenta

nostra maggior sostanza

che pur da noi

anch’essa

cerca nuova dimora

bagnando terra

e mani.

 

E dalla sabbia

non remoto deserto

giungono a noi

genti brunastre

anch’esse

come tortore a stagione

nuovi nidi formare

e riprodurre

sogni, figli e futuro.

E noi pure

cercammo e cerchiamo

diverse prospettive

varcando crespi mari

e confini

e usanze traslate

della verde Europa.

 

 

Non pietra ottusa

fermo macigno

polvere

diverremo e fummo.

E questa

come seme d’erba

vola portata alla ventura

forse oggi o domani

o se verrà risveglio

e apriremo i sepolcri

nostre sicure case.

In ogni dove ed era

l’uomo l’uccello

guarda

volar lontano

verso il calar del sole.

Sovvenendo il  futuro.

 

Nessuna accoglienza

il dubbio

ormai sembra avere

e l’essere

che all’approdo giunga

sospinto dal vento

in poppa

alla mafiosa barca.

Cristiani

certo non sòno

come pure suona

nostro comportamento

stridente alle finzioni

convenienti atti

diritti all’uomo.

 

Niente migliora

oltre

nelle nostre coscienze

per l’odiato contatto

con sconosciuta

gente

giunta a far sentire

nostra ricchezza

enorme

pur se fuggiamo ancora

la povertà dei nonni.

Quasi nessuno scampa

a riprovar ribrezzo

solo

a guardare

chi tra i cartoni dorme.

 

Come senza riposta

ognuno resta

al dubbio

di quale verso

dare all’umana esigenza

che diviene

forse solo un istante

in ogni vita

in-continente

e fugace-mente

nota.

Pur non avendo ali

l’alea cerchiamo

tutti

ogni colore

varcando breve rio.

 

Poche certezze

dobbiamo

in ogni caso avere

che la migliore strada

è ad ognuno ignota

lasciando

già

la culla ed il diritto

dubbio beneficante.

L’aria è il mezzo

dove lanciar pensiero

e di essa

dovremmo

averne consistenza

demolendo principi

e regredenti istinti.

 

Basta guardare il cielo

che mai

pur nelle grandi torme

nostri volanti amici

scontro avvenne

ognuno

ha la sua rotta

e la stagione esatta

è già nel nostro sangue

odierna soluzione

tanti sali disciolti

infinita materia

in pochi litri

amore-volo

nostro universo interno.

Tracce.

Di ogni elemento noto.                                                                                 333


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