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Maselli, il rosso maestro del cinema

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La scomparsa di Francesco (Citto) Maselli ci lascia un vuoto enorme. La morte del regista e intellettuale protagonista per decenni della vita culturale ci avverte che, probabilmente, un intero ciclo si sta chiudendo. Si tratta della lunga straordinaria stagione in cui impegno artistico e militanza politica si intrecciavano senza nulla perdere delle rispettive caratteristiche o parzialità, bensì moltiplicandone i fattori positivi.

Maselli, giovanissimo esponente della Resistenza e comunista da ragazzo, quando era davvero duro e rischioso esserlo, è stato un grande maestro di cinema. E non solo. I numerosi film girati, spesso contro la corrente omologata del senso comune, sono in diversi casi pietre preziose e avamposti di ricerche espressive capaci di precorrere il tempo. Più fotografo che cineasta, come un po’ gigioneggiando amava affermare, Citto aveva una qualità professionale eccelsa. È vero che era cresciuto alle scuole di Antonioni, Visconti e Zavattini: ma ci mise molto del suo ingegno corroborato dalla passione civile nel confezionare opere che ci rimangono come ipertesti immortali. Da I delfini, a Gli indifferenti, a Lettera aperta a un giornale della sera, a Il sospetto, a Storia d’amore, a Le ombre rosse leggiamo e rileggiamo capitoli e fili di eventi ed emozioni di una stringente eterna attualità. Era anche umile e tuttavia straordinario coordinatore di opere collettive, come Un altro mondo è possibile sui tragici fatti del G8 di Genova del 2001. Per aggiungere i funerali di Enrico Berlinguer e le manifestazioni operaie.

Teatro, opera lirica, fotografia: una mente multimediale si cimentò con svariate forme di espressione.

Tuttavia, ci sono aspetti della biografia di Maselli che nei ricordi pur benevoli e riconoscenti di queste ore non sono stati messi a fuoco.

Innanzitutto, va ricordata l’attività assai significativa, pur talvolta critica, nella commissione culturale del Pci. Anzi. Di quella struttura fu uno dei riferimenti, con interventi sempre impegnati a difesa del cinema italiano ed europeo contro le scivolate consumistiche che facevano capolino nella sinistra. Si schierò contro la svolta del 1989 e prese parte all’esperienza di Rifondazione comunista, il partito cui è orgogliosamente appartenuto fino alla fine.

Accanto e intrecciata all’anima direttamente politica vi è, poi, la componente fondamentale della vita di Maselli. Parliamo della magistrale conduzione della lotta alla Biennale di Venezia, nel 1973 con le Giornate del cinema partecipate dalla stragrande maggioranza degli autori italiani e negli anni seguenti con il decisivo contributo alla riforma dell’istituzione di origine fascista.

Va rammentata la trentennale presidenza dell’Associazione degli autori cinematografici (Anac), vivificata e resa un soggetto chiave nella discussione su leggi e scelte governative: quasi un ministero-ombra. Analogamente, svolse la delicata funzione di presidente della gemella federazione europea (Fera). La mobilitazione per la difesa della diversità culturale, volta ad impedire la mera riduzione a merce del prodotto culturale, nonché la resistenza contro l’invadenza degli spot pubblicitari sono esempi di uno spirito tenace e mai piegato alle convenienze.

Così, lo ricordiamo – purtroppo già su una sedia a rotelle- nei giorni della vertenza tra il 2011 e il 2012 su Cinecittà. Quella prolungata e generosa occupazione simbolica evitò che la crisi dovuta alla cattiva gestione privata portasse alla parabola discendente di quel gioiello italiano invidiatoci da tutto il mondo. E grazie a Maselli, Scola e numerose personalità anche internazionali scese in campo a fianco delle maestranze alla fine Cinecittà tornò dentro la sfera pubblica. Si salvò.

Si potrebbero elencare mille ulteriori occasioni in cui Maselli rappresentò un faro per tante e per tanti. Che ora rimpiangono il maestro, il dirigente, il compagno.

Ci stringiamo a Stefania Brai, che ha condiviso i tornanti della vita di un marito che ha avuto la fortuna di incontrala. E viceversa. E ci stringiamo a chi ha amato e ama il lavoro culturale nella versione alta e progressiva intesa da Antonio Gramsci. E sì, Maselli è stato un comunista, avrebbe aggiunto Giorgio Gaber.


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