Bella iniziativa dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti che dedica la giornata dell’Otto Marzo a Torpekai Amarkel, la giornalista di Kabul morta nel naufragio di Crotone. Di seguito riportiamo l’articolo che apre il sito del Cnog per la giornata odierna.
La reporter era in fuga dall’ Afghanistan, è una delle decine di vittime di Steccato di Cutro
8 marzo giornata internazionale dei diritti della donna, per ricordare le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono ancora oggetto in ogni parte del mondo. Niente da festeggiare, in questa giornata, che vogliamo dedicare alla collega Torpekai Amarkel, ultima vittima di un tempo crudele. Torpekai Amarkel era afgana, aveva 42 anni, un marito e tre bambini. Era una giornalista, aveva lavorato alla radio nazionale afgana e collaborava con l’Onu per promuovere l’emancipazione femminile. Sperava che il giornalismo potesse essere una nuova frontiera per le donne nel paese, recentemente stava realizzando servizi fotografici sulla condizione delle donne in Afghanistan, ma per il suo impegno e le sue convinzioni, dopo che i talebani sono tornati al potere, è dovuta fuggire dal suo paese. Torpekai Amarkhel, suo marito e i suoi tre bambini, sono tra i migranti morti sulla spiaggia di Steccato di Cutro, in Calabria. A piangere sulla sua salma e su quelle degli altri della sua famiglia, nel Palasport di Crotone, è arrivata dall’Olanda la sorella Mida. È giunta in Calabria in auto dopo ore di viaggio, ma invece di riabbracciare i suoi cari ha trovato solo morte e disperazione.
La reporter in fuga da Kabul morta nel naufragio
Torpekai lavorava per l’Onu, morti anche il marito e i bambini
(di Claudio Accogli) (ANSA) – Era stata costretta a fuggire dall’Afghanistan, trasformato dai Talebani in un carcere femminile a cielo aperto, Torpekai Amarkhel, la 42enne giornalista afghana morta nel naufragio del barcone a Steccato di Cutro. Con lei avrebbero perso la vita anche il marito e due bambini mentre una terza bimba di 7 anni è ancora tra i dispersi, secondo quanto riferiscono alcuni media di Kabul. La sorella della giornalista, Mida, è arrivata a Crotone da Rotterdam, tappa finale probabilmente del viaggio disperato di Torpekai. Ha dato mandato al pool di legali creato nella città calabra per assistere le famiglie delle vittime di rappresentarla nel procedimento giudiziario che scaturirà dall’indagine in corso alla Procura. La morte della sorella ha gettato nello sconforto i colleghi dell’Unama, la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan: “E’ una notizia devastante” si legge nei commenti di chi ci aveva lavorato fianco a fianco. Con l’Onu aveva collaborato per anni a Kabul al progetto ‘Unama News’, dopo un passato alla radio nazionale afghana. Da ultimo realizzava servizi fotografici sulla condizione delle donne, un mestiere messo al bando come tutti gli altri. Perché le donne in Afghanistan non possono lavorare se non in poche eccezioni, non possono uscire di casa senza velo e nemmeno andare al parco giochi con i propri figli, neppure con il burqa. Dopo la caduta dei Talebani nel 2002, “il giornalismo era una nuova frontiera per le donne nel Paese”, ricordava qualche anno fa Torpekai. All’epoca lavorava con un team di giornaliste radiofoniche tutto al femminile. “Certo, ci sono più donne oggi che fanno questo mestiere – diceva nel 2017 -. Ma sul campo, fuori dall’ufficio si presentano in burqa, fanno le interviste con il burqa. Non è semplice convincerle che sia un lavoro importante per loro”. Sperava si potesse fare di più, senza lontanamente immaginare che solo pochi anni dopo il Paese sarebbe sprofondato nuovamente nel medioevo talebano. E che lei sarebbe stata costretta a fuggire, imbarcarsi su quella barca maledetta che ha ucciso lei e i suoi cari. Annegati in una notte terrificante per scampare dall’inferno talebano.