Il tema dell’immigrazione si è imposto in questi giorni per la tragedia di Cutro, l’ennesima tragedia del mare e – di conseguenza – per la corsa al rimpallo delle responsabilità. Eppure di fronte all’inarrestabile flusso di migranti in fuga da zone di guerra, di regimi totalitari e di povertà estrema, la politica italiana ed europea non affronta in maniera organica e solidale questa grande questione che sarà centrale nei prossimi anni.
Non intendiamo con questo articolo definire il percorso e delineare delle corrette politiche di accoglienza. Ciò che si vuole mettere al centro di questa riflessione è che, mettendo da parte approcci ideologici e semplicistici, ci renderemmo conto che l’immigrazione rappresenta un fattore strategico per il Paese.
Oggi è chiaro e forte l’allarme che viene dalle imprese in merito alla difficoltà di trovare il personale da assumere per rispondere alle proprie necessità produttive. Sia che tali necessità riguardino professionalità innovative legate alle tecnologie digitali, sia in relazione a mansioni più tradizionali nell’ampia varietà di fili che compongono il nostro tessuto produttivo.
Da tempo, perciò, le imprese valutano, tra le altre cose, la necessità di aprirsi all’assunzione di forza lavoro immigrata. O, ancor più, da far immigrare. A questa situazione si somma un altro problema strutturale estremamente grave: l’Italia soffre un calo demografico imponente.
Tutto questo significa, tra l’altro, aggravare ulteriormente la situazione anche sul piano del sistema previdenziale, la tenuta del quale è messa a dura prova dal fattore demografico.
In questo scenario le imprese già da tempo pongono con forza la domanda di un robusto flusso di manodopera da immigrazione. Già in occasione del Decreto flussi 2021 le imprese avevano posto l’esigenza di disporre di oltre 200mila lavoratori stranieri all’anno. Ma il Decreto Flussi 2022, per il quale si è giunti all’apertura della presentazione delle domande, è fermo alla quota di poco più di 80mila ingressi. Si prevedono, dopo la promulgazione del Decreto flussi 2023, ulteriori interventi per l’autorizzazione di nuovi ingressi a fronte della richiesta di manodopera. Ma su tali interventi mancano previsioni precise.
L’immigrazione è trattata sempre come risposta a un’emergenza di natura “invasiva”. Nella realtà, è invece, al di là della tragedia umana di milioni di persone costrette ad abbandonare la propria casa solo per sopravvivere, la quale meriterebbe una considerazione che rientri nei canoni della decenza, una reale necessità per il nostro sistema produttivo e per rivitalizzare un sistema di welfare boccheggiante.
È necessario, in primo luogo, metter mano alla legge “Bossi-Fini”, secondo la quale in Italia è permesso l’ingresso di lavoratori stranieri oggetto di un’offerta di lavoro da parte di un’impresa. Insomma, un’assunzione a “chiamata diretta” dall’estero che appare molto lontana dalle possibilità e dalle necessità dei datori di lavoro.
In secondo luogo, l’assenza di chiarezza normativa è anche un “acceleratore” di illegalità nell’instaurazione dei rapporti di lavoro. Essa favorisce il nero, il sommerso, le varie forme di irregolarità e, perciò, di sfruttamento.
La mancanza di una limpida visione politica nello sviluppo delle policy è, insomma, uno dei più grandi problemi del nostro Paese. Il bene pubblico ne è la prima vittima. E per lo stesso bene pubblico è ora di cominciare a considerare l’immigrazione in termini realistici e di opportunità.