Alcuni analisti sostengono che il conflitto in Ucraina sta favorendo la divisione del mondo in blocchi molto simili a quelli che alimentarono la Guerra Fredda. Ma di pari passo cresce anche la tentazione del non allineamento di molti paesi che si rifiutano di sacrificare i loro interessi nazionali per sanzionare la Russia. Cina, Indonesia, India, Brasile, Messico, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Sud Africa sono sicuri che il loro potere contrattuale in questa nuova fase crescerà nei settori di commercio, tecnologie ed armamenti. E sono anche le nazioni che dal 2030 ospiteranno i tre quarti della popolazione mondiale ed il 60% della sua economia. Una occasione troppo ghiotta per rinunciare a giocare una partita di primaria importanza.
Questa premessa spiega la ricca sfilata in terra africana che a gennaio ha impegnato diplomatici e leaders stranieri. Qin Gang, nuovo ministro degli esteri cinese, ha rispettato la tradizione di Pechino facendo il suo primo viaggio all’estero in Africa con visite in Etiopia, Gabon, Angola, Benin, Egitto.
Janet Yellen, segretaria del Tesoro degli Stati Uniti, è atterrata in Senegal, Sud Africa e Zambia. Qui ha spiegato come la ristrutturazione del debito pubblico di Lusaka rappresenta una parte della strategia americana di contrasto all’egemonia cinese in Africa nel campo degli investimenti e delle infrastrutture.
Le ministre degli esteri francese e tedesca sono volate in Etiopia. La nostra premier Meloni è andata in Algeria per assicurarsi forniture di gas ed ha poi firmato accordi di sviluppo con il collega etiope Abiy Ahmed Ali con la promessa di incontrarlo ad Addis Abeba.
Sergei Lavrov, ministro degli esteri russo, è tornato nel continente per la seconda volta in un anno, dopo i viaggi dello scorso luglio in Egitto, Congo, Uganda ed Etiopia. L’incontro con la collega sudafricana è servito a mettere a punto il vertice Russia-Africa in programma a luglio a San Pietroburgo e quello del Brics (che riunisce le economie emergenti di Russia, Sud Africa, Cina, Brasile e India) che si terrà ad agosto. Ma è stata anche l’occasione per annunciare le esercitazioni militari congiunte (con la partecipazione della Cina) in programma nell’oceano Indiano davanti alla costa tra Durban e Richard’s Bay. Nell’agenda del capo della diplomazia del Cremlino ci sono anche visite in Botswana, Eswatini, Angola ed a seguire Tunisia, Mauritania, Algeria e Marocco. Una forsennata offensiva diplomatica per ribadire la centralità dell’Africa nella competizione tra Mosca e Washington. La partecipazione del governo guidato dal presidente Cyril Ramaphosa alle esercitazioni militari ha sollevato furiose polemiche. Le opposizioni nel parlamento di Pretoria la marchiano come una “oscenità” poiché coincide con il primo anniversario dell’invasione russa in Ucraina. Ma emerge con chiarezza il forte legame che unisce Pretoria a Mosca: nonostante un atteggiamento distaccato rispetto al conflitto ed una formale neutralità, le autorità sudafricane non bollano come “invasione” l’iniziativa russa. Sul tavolo c’è l’incremento di scambi commerciali e militari in una congiuntura di grande difficoltà economica ma a pesare in realtà è ancora la riconoscenza per il sostegno che l’Unione Sovietica garantì all’African National Congress (al potere ininterrottamente dal 1994) durante gli anni bui dell’apartheid.
Tra i 35 paesi che alle Nazioni Unite nello scorso ottobre si astennero dalla condanna dell’invasione russa, ben 19 erano africani (mentre l’Eritrea votò addirittura contro). Un dato significativo per capire le preoccupazioni dei rispettivi governi sull’instabilità politica generata dall’aumento vertiginoso del costo di cibo e carburanti e dalla inflazione galoppante. Ma anche la consapevolezza di non ottenere vantaggi da nessuna delle due parti contrapposte, potendo invece ritagliarsi un ruolo privilegiato non schierandosi e cercando di volta in volta di strappare benefici. Magari con la Russia che è il primo esportatore di armi.
Anche perché -come osserva la Bbc- il ricordo della Guerra Fredda è ancora vivo in Africa, dove la logica dei blocchi ha alimentato conflitti e arrestato lo sviluppo. E nessuno oggi è disposto a ripetere quegli errori. Per questo l’occidente fatica a creare consenso intorno al conflitto ucraino, vissuto come una questione di pertinenza europea, di cui a fare le spese è il continente africano.
Dal mensile CONFRONTI n. 3 marzo 2023