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La Corte,Putin e noi

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La decisione del Tribunale penale internazionale di spiccare un mandato di arresto internazionale per processare Vladimir Putin in particolare per una nuova efferatezza, la deportazione in Russia di migliaia di bambini ucraini, porta a galla tanti nostri meccanismi, per lo più binari. Ho sentito addirittura un’ascoltatrice, a Radio3, chiedere se questo tribunale avesse incriminato qualcuno per quanto accadde in Vietnam. Ma la Corte Penale Internazionale è stata istituita nel 1998…
I casi noti sono molti: la giustizia internazionale si è occupata, in vari modi, del genocidio in Rwanda, dei crimini perpetrati nella ex Jugoslavia, del dittatore sudanese Omar al Bashir.
Certo, tutto questo conta, ha contato molto, ma pone due problemi: in tante parti del mondo, soprattutto Africa e Medio Oriente, la giustizia per questa via richiederebbe di creare degli stadi per ospitare tutti gli imputati. Il secondo è l’assenza di azioni contro Putin e Assad per il genocidio siriano. E non perché un processo per la guerra yemenita sarebbe stato meno necessario, importante, ma perché Putin e Assad, solidali oggi nel combattere in sfregio a ogni norma bellica in Ucraina, hanno avviato questa loro impresa in Siria. Forse se Assad fosse stato visto e imputato, almeno lui, come un responsabile di crimini contro l’umanità per i suoi sistematici bombardamenti di scuole, ospedali, per l’invenzione dei barili bomba che uccidevano e distruggevano a casaccio, oggi non saremmo dove siamo. Se le fotografie del genocidio a mezzo di tortura del suo popolo acquisite grazie a chi era incaricato di fotografare lo sterminio, un povero impiegato qualsiasi che non ce l’ha fatta più ed è fuggito a piedi con le foto dell’orrore, avessero portato a un Tribunale Speciale per la Siria non saremmo dove siamo. Ma molti di noi hanno preferito discettare sulla loro autenticità.
Ora siamo al cospetto di un crimine nuovo, inaudito: il ratto dei minori. Potevamo tollerare? No! Ma aver tollerato che alle porte europee accadesse quanto detto, aver chiuso le porte in faccia ai sopravvissuti di questo genocidio siriano delegandone la cura a Erdogan, non avrà facilitato questo sviluppo? Io credo di sì.  E’ stato un errore enorme e i giudici di oggi perdono un po’ di efficacia. Ma a dover riflettere non ci sono loro.
La questione iraniana è sparita. Non solo da tribunali, dove mai è giunta, ma anche dai giornali. Oggi ecco cosa accade a Roma nella nostra disattenzione; “Ogni anno, in coincidenza con l’equinozio di primavera, tutti gli iraniani nel mondo festeggiano il Nowruz, il Capodanno persiano. Nessuna altra festività, neppure quelle islamiche, ha il rilievo e la popolarità del Nowruz, che dai tempi di Zoroastro celebra la vittoria della luce sull’oscurità. Nel 2023, tuttavia, questa ricorrenza è “oscurata” dalla feroce ed ottusa repressione di un regime teocratico. Perciò, 34 ex ambasciatori italiani – particolarmente sensibili alla cultura di quel Paese – hanno deciso di unirsi alla comunità iraniana davanti alla statua dedicata in Villa Borghese a Ferdowsi, il massimo poeta persiano, domenica 19 marzo a mezzogiorno.E’ prevista una staffetta di letture di versi e di brani di autori iraniani o vicini al cuore degli iraniani, con l’accompagnamento di musiche intonate alla mobilitazione popolare che sta scuotendo il Paese. Anche la cittadinanza romana è invitata a partecipare”, lo farà?
I tribunali non sono gli unici luoghi dove la giustizia può affermarsi.

 

 


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