La prima pagina del New York Times del 2021 con i volti e i nomi dei 69 bambini – 67 palestinesi, 2 israeliani – uccisi nei primi dieci giorni dalla ripresa dei raid aerei su Gaza – è per me emblematica della differenza tra il modo anglosassone di affrontare le notizie sul conflitto israelo-palestinese e quello dei media italiani.
La scelta di utilizzarla come foto di copertina per questo editoriale è per ribadire quanto all’epoca evidenziai con forza e che oggi, osservando la copertura mediatica sulle proteste contro il governo di Netanyahu, confermo con maggiore amarezza.
Trovo inaccettabili questi doppi standard: la solerzia nel raccontare, ad esempio, l’invasione di piazze e strade a Tel Aviv come a Gerusalemme dopo che il premier aveva licenziato il ministro della Difesa Yoav Galant, contrario alla riforma della giustizia contestata dall’opinione pubblica israeliana. e il silenzio sulle violenze dei coloni che appiccano incendi alle case dei palestinesi con dentro bambini come accaduto la stessa notte delle proteste nel villaggio di Sinjil, a Nord di Ramallah.
Continuo a pensare a quei bambini, ai 69 del maggio 2021 e alle migliaia che prima di loro hanno perso la vita in questi ultimi 75 anni di vessazioni e prevaricazioni, e a quelli che dopo seguiranno.
“Smettiamola con i bambini” si inalbererà qualcuno, magari evidenziando che in tutti i conflitti anche i più piccoli muoiono come chiunque altro, perché la guerra non fa eccezioni.
E invece no.
Dobbiamo raccontarli quei bambini, dobbiamo contarli. Uno a uno.
I media italiani sono quasi tutti totalmente subordinati alla propaganda israeliana che accusa Hamas di sfruttare cinicamente le vittime civili “per muovere a pietà l’Occidente”.
Ma chiunque abbia messo piede in quei territori sa bene che non è così. Non c’è nulla di “esasperato”. È tutto drammaticamente reale. La disperazione di un popolo messo all’angolo, le violenze ingiustificate contro ogni palestinese/ uomo, donna, bambino…
I nostri media che ogni giorno si prestano alla pornografia del dolore, che titolano in prima pagina sui morti innocenti in Ucraina, nulla dicono sulle conseguenze e sulle ragioni della guerra contro i palestinesi.
Non una parola sulle aggressioni di un esercito spietato e un governo guerrafondaio che dal 15 maggio 1948, cioè dal giorno dell’invasione della Palestina, ha deciso di cacciare chi in quelle terre viveva da sempre.
Ogni volta che qualcuno tenta di giustificare Israele affermando che sia stata costretta a prendere le armi e a versare sangue di innocenti solo “per rispondere ad attacchi mortali” mi chiedo come sia possibile negare a tal punto l’evidenza.
La risposta non può essere bombardare centri abitati da civili che nulla hanno a che fare con frange terroristiche.
Di tutto questo ai media italiani importa molto poco.
Siamo stati in pochi a raccontare in questi anni la violenza inusitata e ingiustificata delle azioni militari israeliane. L’abbattimento di case di palestinesi mente quelle vicine abitate da “altri” lasciate intatte. Villaggi e quartieri rasi al suolo, compresi parchi giochi e giardini zoologici, senza alcun motivo.
Di questo abbiamo scritto in pochi, come in pochi continueremo a raccontare di come l’orrore della guerra ai palestinesi venga continuamente negato e oscurato.
Ma sarà più difficile da nascondere se riusciremo a dar voce a chi lo subisce ogni giorno.
Chi crede nella forza della verità e vuole fare fino in fondo il proprio mestiere non può limitarsi a utilizzare come fonte qualche agenzia di stampa internazionale e men che meno le informazioni e i filmati forniti quotidianamente dall’esercito israeliano che mostrano i tunnel di Hamas scoperti e gli obiettivi centrati dalle loro bombe laser con l’obiettivo di distrarre l’opinione pubblica.
Bisogna andare sui posti e raccontare ciò che vedono i propri occhi. E anche di più. Perché un giornalismo fedele al suo scopo non si occupa solo di come stanno le cose ma di come dovrebbero essere. Pulitzer docet.