Il partigiano Citto Maselli ci ha detto addio all’età di noventadue anni, dopo aver partecipato alla Resistenza da ragazzo ed essersi portato dietro quegli ideali per tutta la vita. Orgogliosamente comunista, al pari di Monicelli, contrario alla Svolta, a differenza di Scola, non rinunciò mai non solo agli “ideali della gioventù” ma anche alla testardaggine nel perseguirli, al coraggio nel battersi per le sue idee e alla grinta necessaria per lottare anche a novant’anni contro ogni ingiustizia. La sua vita, del resto, è stata tutta una resistenza: dalla lotta contro il nazi-fascismo ai giorni di Genova, passando per una militanza lunga otto decenni, sempre sventolando la bandiera rossa, rivendicando il suo essere convintamente marxista, battendosi per l’uguaglianza fra gli esseri umani e per i diritti di tutte e di tutti. La sua forza, del resto, era stare nel flusso della storia, anticipandone il corso e quasi sempre opponendosi alla sua deriva.
Il suo cinema, ovviamente, ne rifletteva la personalità. Sempre all’attacco, mai moralista, stucchevole e ipocrita, ricco di significati, privo di retorica, intenso e coraggioso, capace di contribuire attivamente alla crescita culturale del Paese e irrefrenabile nella denuncia delle storture di una società che vedeva in costante declino. E non si arrendeva, non rinunciava mai a esprimere le sue idee, non si fermava di fronte a nessuna indecenza, non rinunciava a manifestare in prima linea, di qualunque cosa si trattasse, lui che partigiano lo è rimasto tutta la vita, che alla politica ha dedicato buona parte del suo lavoro, della sua militanza e delle sue iniziative e che si è sempre schierato dalla parte degli ultimi, dei deboli e degli esclusi.
Citto c’era anche quando si trattava di salvare Cinecittà: al fianco dei lavoratori e delle lavoratrici, contro ogni tentativo di privatizzazione e contro l’idea, che purtroppo ha attecchito da tempo pure a sinistra, di smantellare i beni comuni in nome di un’ideologia disumana.
Mi hanno raccontato alcuni amici assai cari quanto fosse indignato dopo i fatti di Genova, e non stento a crederlo. Lui, Monicelli, Scola e tutto il cinema italiano che aveva scelto di imbarcarsi in quell’avventura non avevano intenzione di mollare. Avrebbero lottato per un mondo diverso e migliore fino all’ultimo giorno e lo hanno fatto, senza mai risparmiarsi, come ritenevano giusto che fosse.
Il compagno Citto, pertanto, non ha smesso di resistere: si è solo trasferito un po’ più su. E a noi restano le lacrime per il dolore e la gioia per aver condiviso con lui questa storia senza fine. Perché quasi un secolo non è trascorso invano e la sua grandezza non si perderà mai, al pari del suo spirito indomito e della sua bellezza interiore. Citto, d’altronde, ha vissuto tutta la vita con l’entusiasmo e il genuino incanto di un bambino, e ci ha salutato con la sua innata dolcezza, lasciandoci un insegnamento da tener sempre a mente: non bisogna mai dimenticarsi della povera gente, non bisogna mai rinunciare alla propria visione del mondo e non bisogna mai cedere alle mode. In direzione ostinata e contraria, con una gioia di vivere senza confini.
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