Ho conosciuto Bice Biagi nell’autunno del 2008. Aveva da poco pubblicato un saggio intitolato “In viaggio con mio padre“, nel quale raccontava quanto affetto e stima avesse ricevuto in giro per l’Italia nei dodici mesi che avevano fatto seguito alla scomparsa di suo padre. Diceva con orgoglio di avere un padre incredibilmente pubblico ed era quasi sorpresa da quest’ondata di amore che la accoglieva ovunque. A me, invece, non sorprendeva affatto. Non mi sorprendeva perché se svolgo questa professione è per merito suo. Se ho realizzato l’inchiesta sui fatti di Genova è anche per rendere giustizia al mio maestro, cui la RAI dell’epoca lo aveva impedito. Se sono entrato a far parte di Articolo 21, proprio in quei giorni di un novembre che ha segnato per sempre la mia vita, è in virtù di quell’eredità straordinaria. E ciò che vale per me, di sicuro, vale per molte e molti altri. Siamo un po’ tutti figli di Enzo Biagi: gli volevamo bene come a un padre, a un nonno, a un amico, a un punto di riferimento e, non ultimo, a un partigiano, a uno di quei ragazzi che fra il ’43 e il ’45 erano saliti in montagna per riscattare la dignità dell’Italia. Di quella memoria, Bice ne è stata custode fino alla fine. Era lei a gestire il Premio Biagi, che viene assegnato ogni anno a Pianaccio a un giovane cronista di provincia. Ed è a Pianaccio che ho avuto la fortuna di conoscerla e di parlarci, di cenare nella casa in cui Enzo era nato e persino di ballare insieme a loro, nel cortile di fronte all’abitazione, accanto al museo che raccoglie i libri e i ricordi di una vita di uno straordinario testimone del tempo. Sulla facciata del museo campeggia una scritta: “Ho girato il mondo da cronista. Ma in fondo non sono mai andato via da Pianaccio“. Lo stesso valeva per Bice, l’unica delle tre figlie di Enzo a essere nata a Bologna, prima che la famiglia si trasferisse a Milano per via dell’approdo di Biagi a Epoca. Pianaccio, tuttavia, era la loro vera casa, il loro luogo del cuore, quella favola di cui parlava Enzo in un racconto scritto da ragazzo, con i suoi riti, le sue leggende e la sua storia partigiana. Lungo quei sentieri Enzo aveva partecipato alla Resistenza, i quattordici anni più importanti della sua vita, e Bice, insieme alla sorella Carla, aveva promosso molteplici iniziative per tramandare quella storia alle nuove generazioni. Non a caso, avevano scritto all’inizio del memoir di Enzo sulla sua Resistenza: “Tra i ricordi più vivi che abbiamo di nostro padre, soprattutto degli ultimi anni, c’è una frase che ricorreva più spesso nei pomeriggi passati insieme: “Ci sono due categorie di uomini a me più care” ci diceva. “Gli operai e i partigiani”. Così sintetizzava orgogliosamente, in fondo, l’ambiente dal quale veniva, e la scelta che aveva cambiato la sua giovinezza e dato un segno alla sua storia”.
Ricordo che, in occasione del centenario della nascita di Enzo, volli intervistarla: fu gentilissima e disponibile come sempre, con quel “grazie” sussurrato al termine del confronto che era la cifra, umana e professionale, di suo padre.
Bice si chiamava come la madre, il vero motore della famiglia, e per anni era stata la direttrice di “Novella 2000”, una rivista che Enzo aveva rilanciato tanti anni prima, quando Angelo Rizzoli lo aveva chiamato a fare il direttore editoriale dell’omonima casa editrice e, in un primo momento, gli aveva chiesto di chiuderla perché non funzionava più. Un passaggio di testimone, dunque, un filo della memoria, un’avventura personale e collettiva basata su quell’artigianato della parola che noi stessi abbiamo appreso.
Insieme a Enzo fondammo Articolo 21 il 27 febbraio 2002, alla vigilia dell’editto bulgaro e delle sue drammatiche conseguenze; insieme a Bice abbiamo portato avanti le nostre battaglie in tutti questi anni. Con lei ci siamo battuti in nome della libertà d’espressione in ogni parte del mondo, per lei continueremo a farlo. Perché, come ci ripeteva spesso Enzo, ci sono momenti in cui si ha il dovere di non piacere, soprattutto a determinati poteri e a un certo modo di intendere la politica e il governo.
Ora Bice ha raggiunto Anna, la terza figlia di Enzo, di cui ricorre il ventesimo anniversario della scomparsa. Abbiamo perso un’amica, una compagna di lotta, una collega cui volevamo bene non solo per il cognome ma perché condivideva i nostri stessi ideali.
Ciao Bice, con immenso dolore.
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