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A tre anni dal lookdown e 188.000 morti dopo, utili le indagini ma se eviteranno il tracollo della sanità pubblica

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Alla mezzanotte del 9 marzo 2020 scattò la chiusura dell’Italia. Qualcosa che nessuna generazione aveva mai conosciuto e che ci parve un evento assurdo ma motivato da una malattia sconosciuta e pericolosissima. Mentre in Lombardia, Veneto e in quasi tutto il nord la catastrofe era in corso e, per dirla in modo brutale, “la gente moriva per strada”, dal centro al sud e nelle isole ci si illudeva ancora che l’ondata non sarebbe arrivata…abbiamo cantato sui terrazzi, scritto “andrà tutto bene”, messo bandiere alle finestre. Fino al giorno in cui quel bollettino pomeridiano alle 18 cominciò a darci i numeri dei contagi e dei decessi in migliaia e migliaia.

Ci abbiamo messo molto tempo tutti per capire cosa stava succedendo. Fuori dalla Lombardia si protestava dai primi giorni perché non chiudevano quelle zone, in farmacia si cominciavano a chiedere le mascherine, rigorosamente chirurgiche, le altre non si sapeva che esistessero, chi aveva rapporti con i sanitari li sentiva disperati e in poche ore, ripeto ore, in quel 9 marzo risultarono esauriti on line i guanti sanitari, i copri scarpe, le bottigliette di amuchina.

L’Italia stava lottando a mani nude, era evidente, i modelli sanitari ritenuti fino a quel momento di eccellenza, Lombardia e Veneto, erano crollati per primi e già si cercavano responsabilità dei vertici.

Abbiamo voluto e vogliamo dimenticare, ma in quei giorni nessuno aveva realmente idea di cosa fare. Ripeto, cantavamo sui balconi, si faceva karaoke da un terrazzo all’altro, rimangono negli occhi le immagini delle ragazze che sui terrazzi condominiali giocavano a tennis, i musicisti che suonavano, i montaggi spiritosi che giravano in rete. Pensavamo che sarebbe finita, come un periodo influenzale. Abbiamo scoperto virologi, immunologi, specialisti vari dal mattino alla sera in televisione, spesso in contraddittorio con personaggi totalmente inconsapevoli degli argomenti di cui si parlava.

Questa era l’Italia del lookdown del 2020, quello durante in quale il mantra era “ne usciremo migliori”. Mai previsione fu più sbagliata, ne siamo usciti peggiori tutti.

Tre anni e 188.000 italiani morti dopo si cerca di capire chi ha sbagliato e se tutti quei decessi, quelli della prima ondata in Lombardia, erano evitabili. Lo si deve alle famiglie e infatti sono loro che lo hanno chiesto. Nessun paese ha messo sotto inchiesta i propri governi e le proprie autorità locali per quell’inizio tragico della pandemia, nessuno lo ha fatto o lo farà nei confronti della Organizzazione Mondiale della Sanità, che pure non sembra esente da colpe. Nessuno potrà farlo nei confronti della Cina, che è il maggiore responsabile. Come andrà lo vedremo, la magistratura farà il suo corso, resteranno comunque in ciascuno di noi le domande drammatiche sulle zone rosse non fatte perché economia e tutela della salute non marciao insieme, il piano pandemico mai aggiornato, le bugie4 e i documenti non resi pubblici.

Ma di una questione dovremmo occuparci tutti, subito e ora: la situazione ben più disastrosa rispetto a quel tremendo marzo del 2020 in cui versa il servizio sanitario nazionale. Rischiamo tutti. Tre giorni fa i responsabili della sanità di tutte le regioni, senza differenza di segno politico – cosa rara di questi tempi – hanno detto al ministro della salute che se non si rifinanzia il servizio sanitario bisogna dire ai cittadini che ci si ammalerà di più e si morirà di più.

«Se davvero il livello di finanziamento del SSN per i prossimi anni dovrà assestarsi al 6% del PIL, prospettiva che le regioni chiedono che venga assolutamente scongiurata, occorrerà allora adoperare un linguaggio di verità con i cittadini, affinché vengano ricalibrate al ribasso le «loro aspettative nei confronti del SSN. Saranno necessarie scelte dolorose, ma non più procrastinabili, al fine di evitare che le mancate scelte producano nel sistema iniquità ancora più gravi di quelle già presenti». Queste le parole del documento.

E dunque siamo di fronte ad un problema potenzialmente maggiore rispetto alla pandemia, un argomento che questo governo non sfiora mai neppure alla lontana e sul quale ci si aspetterebbe un grido di allarme permanente da parte del’opposizione.

Dobbiamo davvero rassegnarci a vedere fra una decina di anni tornare indietro l’aspettativa di vita? Dobbiamo davvero rassegnarci al fatto che se hai i soldi puoi curarti e se non li hai sei condannato? Per questo le indagini saranno utili solo se eviteranno il tracollo della sanità pubblica.


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