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Terremoto, qui Siria: «Dopo 12 anni di guerra, una catastrofe consumata in un minuto»

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“Paura, non ho mai avuto così paura nemmeno durante la guerra”, racconta al telefono Shams, un’insegnante siriana che risiede a Gazientep, in Turchia, una delle città più colpite dal sisma del 6 febbraio. “Abbiamo passato la notte in casa senza chiudere occhio, tutti sullo stesso letto, vicini, pronti a scappare nel caso di nuove scosse”. La casa di Shams ha riportato crepe, ma sembra agibile. “Ci sono case che non sono crollate con la prima scossa, ma con quelle di assestamento. Ci siamo ritrovati in strada senza scarpe, senza cappotti. Bambini, donne, anziani, turchi e siriani, tutti terrorizzati, infreddoliti, senza sapere cosa fare, dove andare”, aggiunge la giovane donna. “Ho sentito altre colleghe, alcune hanno dormito nelle serre che sono state costruite per dare riparo agli sfollati. Le moschee si sono trasformate in case, la gente si è ammassata lì per cercare riparo dal freddo”, racconta Shams.

Il bilancio delle vittime del sisma di magnitudo 7.8 che ha devastato il sud della Turchia e il nord della Siria sale di ora in ora. Si parla di oltre 5000 vittime, di cui circa 2000 in Siria, ma ci sono ancora migliaia di persone sotto le macerie. James Elder, portavoce dell’Unicef, ha denunciato che tra le vittime ci sono migliaia di bambini, ma non si ha ancora un numero preciso di vittime a causa della difficoltà dei soccorsi, in particolare nel territorio siriano. Le condizioni meteorologiche avverse rendono difficile portare aiuti nelle regioni colpite e condurre soccorsi, in particolare nelle città di Hatay, Kahramanmaras e Adiyaman, tre delle province turche in maggiore sofferenza. Secondo Tedros Ghebreyesus, direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sarebbero almeno 23 milioni le persone colpite, di cui 5 milioni in condizioni di grande vulnerabilità.

Sul fronte siriano, il sisma ha colpito sia la fascia costiera e la città di Aleppo, controllate dal regime di Bashar al Assad, sia la città di Idlib e i suoi sobborghi, ultimo fazzoletto di terra sotto il controllo delle opposizioni e attraversato da gruppi di miliziani appartenenti anche a sigle qaediste. In quest’ultima zona non hanno diritto di accesso le grandi organizzazioni umanitarie internazionali e i soccorsi arrivano solo dal fronte turco. Una portavoce dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento dell’assistenza umanitaria (OCHA), Madivi Sona, ha dichiarato oggi a Reuters che “il flusso di aiuti vitali delle Nazioni Unite dalla Turchia alla Siria nordoccidentale si è temporaneamente interrotto a causa di danni alle strade e ad altri questioni logistiche legate al micidiale terremoto che ha colpito entrambi i paesi lunedì”.

“Quando dicevo di aver visto il peggio, forse sbagliavo. Ho lavorato per sette anni in guerra, ma questo è di gran lunga più devastante”, ha dichiarato un medico di Idlib del Syrian American Medical Society (SAMS), raggiunto telefonicamente. “Abbiamo visto persone morire davanti ai nostri occhi, persone che non avrebbero dovuto morire”, commenta incredulo il chirurgo. Ben quattro delle strutture che fanno capo al SAMS sono state costrette ad evacuare e la struttura per la Maternità di Idlib ha dovuto spostare tutti neonati nelle incubatrici verso altre strutture.

“In Siria è una catastrofe che si innesta su una crisi umanitaria dovuta a 12 anni di guerra”, ha dichiarato El-Mostafa Benlamlih, coordinatore umanitario in Siria delle Nazioni Unite. “L’infrastruttura è stata paralizzata dalla situazione, dalla guerra”, ha detto. “Quelle città sono città fantasma colpite da anni di guerra. Molte persone sono molto spaventate. Non vogliono tornare nelle loro case. Se così possiamo chiamarle case in questi casi. A volte sono rovine”.

Circa la metà dei 4,6 milioni di abitanti della Siria nordoccidentale è stata costretta a lasciare le proprie case a causa del conflitto, con 1,7 milioni che ora vivono in tende e campi profughi nella regione, secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia, l’UNICEF. L’anno scorso, l’agenzia ha riferito che 3,3 milioni di siriani nell’area non avevano cibo sicuro.

Tra le città siriane più danneggiate la martoriata Aleppo, ma anche Hama, Latakia e Tartus.


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