Strage di Cutro: Meloni e Piantedosi ma qual è per voi il peso, il valore delle parole?               

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Confesso che a volte mi vergogno, mentre il più delle volte mi chiedo come è possibile che le istituzioni possano essere rappresentate da chi non ha piena coscienza di quel che dice, o se, al contrario, quelle stesse parole siano la traduzione di una convinzione, di una concezione dell’umanità fondata sulla discriminazione. ‘Voce dal sen fuggita’? Penso proprio di no, perché sono espressioni diffuse negli ultimi decenni, quando i ragionamenti sono stati sostituiti da slogan impresentabili.

Per spiegarmi meglio dico subito che voglio parlare dell’immane tragedia di Cutro, dei bambini, delle famiglie, della mamme e dei padri le cui speranze di vita costruite a bordo di un barcone sgangherato sono state brutalmente spezzate, dando ulteriore conferma di quella definizione del Mediterraneo come terribile cimitero data da Papa Francesco.

Quali le parole usate per parlarne? All’accorato appello del Presidente Mattarella perché l’Europa operi finalmente per scongiurare altre sciagure simili, hanno fatto da contraltare le dichiarazioni della presidente del Consiglio e del suo ministro dell’interno.

La premier, che non aveva avuto modo di trovare nei giorni scorsi una sola parola per condannare l’aggressione fascista agli studenti liceali di Firenze, ha trovato il modo di rovinare qualunque buona intenzione prendendosela con le ONG invitandole a ‘non speculare’ su quanto accaduto. Come se le ONG, che sono le uniche ad occuparsi sul serio dei salvataggi in mare per evitare i terribili naufragi ai quali assistiamo impotenti ormai da dieci anni, stessero lì a tramare per ricavare vantaggi da quanto accaduto.

Per non essere da meno il suo ministro dell’interno ha usato termini del tipo ‘dovrebbero essere più responsabili’ prima di avventurarsi in mare. Come dire, in modo più crudo e diretto, che in pratica se la sono cercata. Ora, come si fa a cercare di far capire a questo ministro che è stato proprio il senso di responsabilità a spingere tanti genitori, tanti padri e madri a cercare di costruire una vita futura migliore per i propri figli, fuggendo da guerre, miseria, violenza, totale mancanza di prospettive?

Basterebbe riflettere sui Paesi dai quali provenivano per intuire quale drammatica esperienza hanno dovuto affrontare per arrivare prima in Turchia per poi pagare circa duemilacinquecento euro per quell’ultimo tratto, un braccio di mare dal quale sarebbe potuta cominciare una nuova vita e che invece ha avuto una conclusione tanto tragica.

E ritorno alla mia considerazione iniziale. Ma trenta, quarant’anni fa avremmo mai sentito affermare, ad esempio, da un qualche ministro del lavoro o dell’interno che sulle morti nei cantieri i sindacati non dovevano ‘speculare’? O che gli operai morti e feriti ‘se l’erano cercata’?

Forse non c’è soltanto una stratosferica distanza di qualità politico-istituzionale, forse c’è un sotterraneo, latente, non dichiarato razzismo contro i profughi provenienti dall’Africa.

Possibile che un Paese come l’Italia, con la sua tradizione culturale e politica, con la sua coscienza di solidarietà e umanità, con la funzione strategica che potrebbe svolgere al centro di un mare non più cimitero ma importantissima risorsa, debba essere rappresentata in questo modo? Ci salva Mattarella, ma fino a quando?


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