Processo a Saviano dopo la querela del Ministro Salvini, in aula dichiarazioni spontanee dello scrittore. “Intimidazione delle voci critiche”

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Questa mattina davanti al Tribunale di Roma si è aperto il processo per diffamazione a carico dello scrittore Roberto Saviano. Il procedimento è stato avviato su querela del Ministro Matteo Salvini. In udienza era presente Giuseppe Giulietti in segno di vicinanza a Saviano e in rappresentanza della Federazione Nazionale della Stampa Italiana. Dopo gli adempimenti di rito, il processo è stato rinviato all’udienza del primo giugno 2023, ore 13,  per la deposizione del ministro Matteo Salvini, quale querelante.
L’imputato ha reso spontanee dichiarazioni e di seguito le riportiamo in forma integrale.
“Vengo portato in quest’aula dal Vicepresidente del Consiglio dei Ministri e Ministro delle Infrastrutture dopo che, poche settimane fa, sono stato chiamato qui a difendermi dalla Presidente del Consiglio. Credo sia l’unico caso nelle democrazie occidentali in cui il potere esecutivo chiede al potere giudiziario di delimitare il perimetro entro cui è possibile criticarlo. Mi rimetto al Tribunale perché io possa in questo processo dimostrare la legittimità del mio operato. Per uno scrittore raccontare la continua manipolazione delle informazioni è un diritto irrinunciabile, mettere il proprio corpo a disposizione delle proprie battaglie è un diritto irrinunciabile, ed è per difendere questi diritti irrinunciabili che mi ritrovo in quest’aula oggi. «Noi non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti», diceva Gaetano Salvemini. Da lui ho imparato che nelle azioni umane e nel comportamento storico non è possibile trovare una formula oggettiva, perché la storia non è come la chimica, non è possibile misurare il risultato dei reagenti. Proprio per questa ragione non è possibile slegare la ricerca delle verità dallo schierarsi con esse, e ogni rischio ideologico è sventato dalla necessità di dare sostegno a una verità solo se provata, perennemente interrogata, sottoposta a continua critica. Salvemini pagò con l’esilio e la confisca di tutti i suoi beni la scelta di mettere continuamente alla prova le verità in cui si imbatteva. Andò volontariamente in esilio, e la stampa di regime definì – per insultarli – fuoriusciti e non esuli, coloro a cui venne resa la vita impossibile in patria e che andarono via dall’Italia per poter continuare a scrivere, studiare, lavorare e criticare il governo. E Salvemini, cacciato dall’Italia, privato di tutti i suoi beni, denigrato e isolato da un governo feroce, ebbe negli Stati Uniti una cattedra ad Harvard. Ed è proprio in nome dell’esempio dei Maestri a cui mi sono ispirato, che ho scelto da che parte stare, indipendentemente dalle conseguenze. Il Ministro Salvini ha minacciato negli anni ripetutamente di togliermi la scorta, questione che non c’entrava nulla con la dialettica politica, né era questione di sua competenza, ma il suo solo obiettivo era quello di intimidire, di additare me come nemico pubblico, cosa che gli è riuscita. Del resto, questa sua volontà, questa sua azione continuata nel tempo, avrebbe dovuto spingermi, come unica opzione, a “fuoriuscire” dall’Italia, appunto. Obiettivo, come molti di quelli cercati da Salvini, miseramente fallito. Ho definito Matteo Salvini Ministro della Mala Vita, come Salvemini definì Giolitti, pur non avendo Salvini la caratura politica e intellettuale di quest’ultimo. L’ho definito Ministro della Mala Vita perché era divenuto intollerabile il modo con cui Salvini si relazionava al Sud Italia, senza alcuna volontà di comprenderne le dinamiche, e soprattutto i drammi, ma solo con attitudine predatoria, laddove i voti costituivano il bottino da conquistare a ogni costo. Mala Vita è soprattutto – da qui la scelta di citare Gaetano Salvemini – l’aver mortificato, sfruttato e soprattutto utilizzato il Sud Italia come bacino di voti facili, mentendo alla parte più fragile del Paese, blandendola in campagna elettorale, ignorando però i suoi problemi atavici, le piaghe con cui il Sud si confronta da ben prima di Salvemini e Giolitti. Senza avere la sua caratura, Salvini, come Giolitti, ha trattato il Sud come bacino di voti, ha individuato dei capri espiatori, tra questi i rom, i migranti e il sottoscritto, per fare una campagna elettorale feroce, basata su menzogne e odio. Del resto Mala Vita è tante cose … Mala Vita è mettere il bersaglio sulla questione sicurezza, indicandomi come fonte di spreco di risorse pubbliche, quindi come nemico pubblico. La assegnazione della scorta è frutto non di opinione politica ma di valutazione tecnica. Mala Vita è dichiarare di cancellare la scorta che non è – nel caso di minacce mafiose e non di rappresentanza politica – un privilegio ma una tragedia. Mala Vita è non sapere che annunciare di togliere la scorta a un soggetto sottoposto a protezione, lo espone a rischio.
Cancellare la scorta, come Salvini invoca da anni, significava cacciarmi dal paese, esattamente come auspicato, dopo le elezioni che hanno visto nascere quest’ultimo governo, da migliaia di
loro simpatizzanti.. Ho scelto di denunciare con parole radicali i comportamenti ambigui e pericolosi di Matteo Salvini prendendo in prestito le parole di Gaetano Salvemini. È Mala Vita mettere il bersaglio sul petto di innocenti che scappano da terre devastate, dalle guerre finanziate dalle imprese occidentali e dalla corruzione locale. È Mala Vita mentire sistematicamente, accusando chi salva vite in mare di essere alleato dei trafficanti. Sono qui per difendermi da una querela che ho ricevuto su carta intestata del Viminale: è un’Istituzione che mi chiama a processo per aver criticato il Ministro? Non è un dettaglio irrilevante ricevere una querela su carta intestata del Ministero, ma un fatto gravissimo, un simbolo che evoca il nostro passato più funesto: se critichi il ministro te la dovrai vedere con il Ministero. E dinanzi a questa gravissima violazione degli equilibri democratici c’è stato il più assoluto silenzio da parte dell’intera compagine di governo, che non stigmatizzò questa pericolosa scelta in alcun modo. E la pericolosità di Salvini era evidente, era sotto gli occhi di tutti, come quando indossava magliette della polizia o dei carabinieri non in occasioni ufficiali o in visita alle truppe all’estero (in quel caso il ministro omaggia essendo, per un giorno, gendarme) ma durante i comizi, e la sua propaganda veicolava un messaggio pericoloso: se hai un problema con me, hai un problema con la polizia. Questo è Mala Vita. Un ministro, un leader politico non è pari a un cittadino, fosse egli anche un intellettuale, un giornalista, uno scrittore. Il potere di un ministro, di un leader politico è fatto di strutture mediatiche, si nutre della forza di partito, della protezione parlamentare e non è comparabile a un cittadino che naturalmente non ha questi strumenti di difesa e sostegno. lo ho solo lo spazio delle parole e di chi mi ascolta. Ho raccontato come Salvini abbia tentato di trasformare un partito antimeridionale – e, in molti casi, proprio razzista – in un partito nazionale, legandosi ai potentati locali in una dinamica simile a quella dell’onorevole giolittiano De Bellis, raccontata da Gaetano Salvemini nel libro “Il Ministro della Mala Vita”: muoversi spregiudicatamente per ottenere potere e contraddirsi sistematicamente per mantenerlo. È in nome di queste parole, ossia per aver reso pubblica la mia opinione, il mio pensiero, che sono chiamato a processo. E nonostante io sia palesemente vittima di intimidazioni a mezzo querela, posso assicurare che mai spegnerò la luce sulla quantità sistematica di menzogne che le politiche del ministro Salvini continuano a perpetrare. Chiedo al Tribunale di ascoltare e considerare la mia difesa non semplicemente come la difesa di un individuo, ma come la difesa di chiunque abbia la volontà di criticare radicalmente il governo e la politica, di criticare radicalmente le menzogne e la complicità della politica con la diffusione sistematica di propaganda e paura. Con la sottovalutazione delle piaghe che affliggono interi territori. Sono fiero di essere imputato in questo processo, perché mi è data la possibilità di testimoniare al Tribunale di non voler permettere a leader di partito e ministri di blindare la possibilità di critica, fosse anche un grido. Oggi mi difendo dal Vicepresidente del Consiglio, mentre ho un processo in corso con la Presidente del Consiglio e una causa civile intentata contro di me dal Ministro della Cultura: tre ministri di uno stesso governo portano in tribunale chi osa criticarli. Questo processo mostrerà alla politica tutta come processare un’opinione possa essere il primo atto di compromissione dell’unica forza in grado di irrorare la democrazia: la critica. Hanno da perdere molto più loro – Salvini, Meloni, Sangiuliano – che io che qui compaio per le parole spese e per ciò che sono. Loro invece svelano tutto ciò che tentano continuamente di nascondere: il più profondo disprezzo per le persone e per le loro opinioni, la volontà prepotente di azzerare ogni voce critica con l’intimidazione. Ma proprio in forza di questo accanimento, non posso in alcun modo mostrarmi intimidito, lo devo a chi ritiene che con la parola ancora si possa trasformare la realtà che ci circonda. Continuerò a criticare, dovessero i processi coincidere con tutti i giorni a mia disposizione.


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