Un tonfo. Nelle elezioni regionali in Lombardia e nel Lazio il Pd perde sempre, in qualsiasi modo. Non è certo una sorpresa ma la conferma è stata bruciante nelle due più importanti regioni italiane.
Alessio D’Amato, Pd, perde nel Lazio governato per ben dieci anni dai democratici (prima con una coalizione di centro-sinistra e poi con una allargata ai cinquestelle). Pierfrancesco Majorino, Pd, va al tappeto in Lombardia, da sempre amministrata dal centro-destra. Attilio Fontana (Lega) e Francesco Rocca (Fratelli d’Italia) sbancano nelle elezioni regionali in Lombardia e nel Lazio con oltre il 50% dei voti.
Il Pd è sconfitto in Lombardia con il centro-sinistra alleato dei grillini, è battuto nel Lazio con il centro-sinistra in coalizione con il Terzo polo. Perde sempre. È confermata la disfatta delle elezioni politiche del 25 settembre. Resta il principale partito del centro-sinistra ridotto a una miriade di piccoli frammenti, arretra a seconda forza politica dietro a Fratelli d’Italia divenuti la locomotiva del destra-centro trionfante.
Enrico Letta cerca di essere ottimista ad ogni costo. Il segretario del Pd uscente giudica il risultato «più che significativo» perché il partito resta comunque la prima forza dell’opposizione: sia il M5S di Conte sia il Terzo polo di Calenda-Renzi non sono riusciti a superarlo.
È una magra consolazione. Non la pensa così Stefano Bonaccini. Il più quotato candidato a diventare segretario al posto di Letta indica la necessità di rivedere tutto: «Dobbiamo chiudere questo capitolo e aprirne uno nuovo, dove il Pd torna centrale e attrattivo». I termini «centrale e attrattivo» significano conseguire due traguardi difficili: ottenere almeno il 10% dei voti in più per arrivare alla soglia del 30%, conquistare una forte autorevolezza nel fronte progressista in modo da costituire il magnete delle alleanze contro il destra-centro di Meloni, Salvini e Berlusconi.
Si vedrà. Serve un progetto di società libera e solidale. Occorrerà vedere chi vincerà il 26 febbraio le elezioni primarie per la segreteria (la corsa è a quattro tra Bonaccini, Schlein, De Micheli e Cuperlo). I problemi sono sempre gli stessi da anni: una precisa identità politica e i relativi programmi per riconquistare gli elettori di sinistra, per riottenere i voti dei lavoratori e del ceto medio emigrati da Conte o da Calenda-Renzi. Oppure i consensi finiti nelle braccia di Meloni, Salvini e Berlusconi. Oppure gli elettori fuggiti nell’astensione.
Già, l’astensione è diventato il più forte partito italiano. Gli italiani delusi e disillusi non vanno più a votare. Nelle elezioni del Lazio e della Lombardia l’affluenza ai seggi elettorali è precipitata: è stata appena del 40% (37,2% nella prima regione e 41,67% nella seconda) rispetto al 73,11% del 2018. La percentuale dei votanti a Roma è sprofondata al 33%.
L’astensionismo colpisce tutti ma soprattutto la sinistra, il Pd è visto come sordo e distante dalle richieste di uguaglianza e di tutela sociale fortemente sentite dai ceti popolari, colpiti da bassi salari e precarietà del lavoro. Si è formato un vuoto politico a sinistra riempito perfino a Sanremo dalle dichiarazioni di cantanti e conduttori in favore di libertà e diritti. Certamente sulla crisi ha pesato in maniera rilevante anche la decisione del Pd di tenere il congresso e le elezioni primarie per il segretario il 26 febbraio, ben 5 mesi dopo la disfatta elettorale delle politiche svolte il 25 settembre.