Fine giugno 1999. Cologno Monzese. C’era afa, caldo, asfalto sciolto e delusione: “mi dispiace, il tuo contratto deve andare a…, sai il cognato è stato nominato… ma il prossimo…”. E rimuginavo su QUANDO sarebbe stato quel “prossimo”. Avevo 26 anni, 8 già lavorati in redazioni locali, il master alla Scuola di Giornalismo di Perugia e il tesserino da Professionista che profumava di pelle e colla. E sogni. Quel giorno finiti sotto i piedi. Rimuginavo su porte chiuse ed occasioni sfumate per me, per i tanti ragazzi che avevano fame e voglia di quel mestiere che bruciava, divorava e chiedeva opportunità in un mondo spesso sordo e conservatore. E tra le mani vibra il Motorola StarTAC. Un messaggio. Ascolto: “Pronto, sono Paolo Meucci, lei non mi conosce ma sono appena diventato docente al Master della Scuola di Perugia, coordino TG2 Dossier, c’è un contratto che nessuno vuole: dura poco e pagano poco ma siamo in emergenza. Al Master mi han detto che tra quelli appena usciti lei è l’unica che ha già esperienze di lavoro di lungo corso. Ci sentiamo? “. Ci siamo sentiti. Accettai. TG2 Dossier e Speciali. Quella telefonata fu l’inizio del mio viaggio in Rai che dura tutt’ora. Quella voce roca, flemmatica, gentile ascoltata all’orecchio l’avvio di una conoscenza professionale e umana rara e straordinaria.
Paolo era intelligenza, sagacia, gentilezza, previsione, mestiere. Vedeva e immaginava gli eventi prima che accadessero: “bisogna preparare un Dossier su Timor Est, dai partiamo”. “Timor Est, e perché?… La risposta arrivava due mesi dopo, deflagrante e il Dossier era già pronto, non l’aveva nessun altro. Era sempre così. Perché ce n’erano sempre meno come lui: leggeva e rileggeva, si documentava, elaborava, approfondiva, prevedeva, organizzava, fiutava, assegnava, rivedeva, aveva talento ma non si fermava. Studiava. “Se non ti documenti dove vai? A fare i giornalisti con talento e cipria son bravi tutti”. Così scherniva il virus, in quegli anni agli inizi e poi dilagante, del giornalismo annacquato, della notizia appena spolverata, dell’informazione asservita alla fretta. Sbuffava sempre contro la bulimia di tempo e minuti dei Telegiornali che fagocitavano la comprensione per una notizia estemporanea senz’anima e contesto. A Paolo piaceva capire e far capire, gli eventi e i loro tempi: giornali e settimanali internazionali sempre sotto il braccio e sotto gli occhiali spessi, tv sintonizzata sui tg di mezzo mondo, pile di libri e montagne di ritagli, pensiero che corre e memoria radicata. E il pranzo con gli amici “Al Trenino” di Saxa Rubra. Intervallava tutto con le sigarette e, tra un tiro e l’altro, partoriva il Dossier. Quei Dossier che erano inchiesta, approfondimento, reportage… quell’informazione che oggi c’è poco o non c’è più. E ci vorrebbe. E poi aveva il dono raro della sapienza condivisa, del lavoro collettivo, della notizia patrimonio comune. Dava fiducia, tanta, ai giovani, come me e come altri che “guidava” senza ombre e sbavature di presunzione e superiorità, a distanza tra i paletti del rigore e della deontologia professionale. Dava fiducia ai giovani e ai più esperti, ai volti, agli sconosciuti e pretendeva il meglio da tutti senza sconti e scorciatoie. Paolo non era mai geloso di contatti e intuizioni, condivideva, lavorava con il “noi” e mai con l’”io”: che merce rara già allora, che merce rarissima oggi. Era anche fermezza e severità, ma comunicate con garbo, per perseguire il meglio del lavoro che si poteva fare. Sapeva essere ruvido e spigoloso, ma mai a caso, solo per insegnare, correggere, migliorare. Rideva spesso, ironizzava molto, ascoltava, dava abbracci e consigli, empatico nel lavoro e nella vita. Sapeva dire “bravo”, “scusa” e “grazie”. Perché era un Signore. E un Giornalista. E un Maestro. Per me lo è stato nei 4 anni a Tg2 Dossier e da allora sempre. Grazie Paolo.