BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Non ci sto

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Giancarla Codrignani è stata a lungo docente e giornalista. Esperta di problemi internazionali e di conflitti, è stata per tre legislature dal 1976 al 1987, nel gruppo storico della Sinistra Indipendente, parlamentare della Repubblica, eletta nelle liste del P.C.I. come Raniero La Valle, Mario Gozzini, Ettore Masina e altri.

Ha impegnato e continua a mettere a disposizione la sua competenza nelle scelte politiche pacifiste. Ha partecipato al movimento femminista e continua ad essere coinvolta nelle problematiche di genere. Pubblica saggi e interventi politici su giornali e riviste anche on-line.

Ha scritto diversi libri. Ne citiamo alcuni che mostrano contiguità tra la cultura di guerra e quella del patriarcato. “L’umanità nasce doppia, maschile e femminile, e non solo i sessi, ma i generi, cioè le culture, sono due …”. Per esempio in Ecuba e le altre –1994 pone un interrogativo retorico: «non è ancora certo che la violenza omicida che genera la guerra (e poi la mitizza) sia la stessa che produce la guerra contro le donne…».

Ne L’Odissea attorno al telaio, si chiede nell’incipit: «Perché un libro sulla cultura derivata da quel perenne agire attorno al telaio di Penelope che ha escluso le donne dal destino “ulisside” del potere?». Risponderà delineando figure di donne, oltre a Penelope, quali Cassandra, Antigone, Diotima, Lisistrata e altre ancora, con le loro storie. Ha cercato di tracciare un pensiero critico per “noi che non fummo a Itaca”.

Ne La diplomazia delle donne mostra come ambasciatrice non sia il femminile di ambasciatore, ma possa assumere un forte significato simbolico. Anche qui racconterà figure femminili che si possono definire ambasciatrici perché hanno un’attitudine differente nel risolvere i problemi: confronto, capacità di ascolto, ricerca, invece dello scontro ostinato e anche violento fino appunto alla guerra. È il caso di Shéhérazade, la fanciulla protagonista de Le mille e una notte, di Lisistrata di Aristofane e altre ancora. Racconterà anche l’esperienza del progetto a cui contribuì, insieme a donne italiane palestinesi e israeliane Molte donne un pianeta che affrontò nel 1992 la questione israeliano palestinese. Una storia di violenza e guerra infinita.

Ringraziamo Giancarla per il suo contributo pertinente alla nostra rubrica “Dalla parte di Lei” e che pubblicheremo anche l’ultimo lunedì di febbraio.

MGG

Non ci sto
di Giancarla Codrignani

Siamo in guerra da un anno e rischiamo il terzo conflitto mondiale. La guerra è presente in Congo, in Afganistan, in Siria, in Birmania, in Burkina Faso, in Iran, nella Palestina di un Medioriente sempre più allargato, in Pakistan, nei Balcani così vicini e già provati: ovunque rischia di degenerare. È arrivata in Europa, a dimostrazione che la democrazia è fragile e può essere contagiata dall’incapacità di controllare i conflitti con le armi civili del dialogo diplomatico preventivo. Impensabile diventare indifferenti alla minaccia nucleare per accettazione disinformata, non più innocente.

Sono ben consapevole di che cosa significa vivere nel 2023 d.C. e avere, a 92 anni, ricordi ben precisi di che cosa sia una guerra mondiale; e con la guerra – io non sono nessuno – ma dico che se non ci dite quale strategia si sta perseguendo non ci sto più. Vivo in Occidente, ne sostengo i valori e perfino le alleanze e le ragioni dell’Ucraina. Ma se i morti civili sembrano essere meno di 10 mila, quelli militari, segretati da entrambe le parti, secondo un generale americano presente all’incontro di Ramstein del 20 gennaio scorso, sarebbero, per i soli russi 188 mila. Altrettanto per gli ucraini? Faremo entrare oltre ai Leopard anche l’aviazione nella guerra? in funzione difensiva? con il parere negativo del Pentagono? Con Stoltemberg che è andato in Estremo Oriente a vedere se il teatro del Sudest asiatico può essere compatibile con quello ucraino?

Rischiare la terza guerra mondiale classica insieme con quella già in atto e ben definita dal Papa? La guerra come soluzione civile e non il perseguimento della pace?

Non ci si può abbandonare a calcoli non argomentati: i vecchi sofisti insegnavano che si può vendere come migliore la proposta peggiore. I discorsi politici e i resoconti giornalistici finora ci convincono che proseguire la guerra non peggiora la situazione (l’ha detto anche Biden), ma gli scienziati calcolano i secondi sempre più ridotti all’orologio Armageddon.

Ripeto che non ci sto. Non mi sento così subalterna al conformismo indotto da rinunciare alla mia intelligenza e alla mia conoscenza informata.

Non sono nemmeno così pacifista da credere che l’Onu potrebbe dichiarare il disarmo universale, anche se farlo sarebbe nei termini del suo statuto. Purtroppo la guerra piace, soprattutto ai maschi. Se non piacesse, non si produrrebbero montagne di armi sempre più raffinate: oltre alle chimiche, bio-batteriologiche, nucleari, di cui non si parla mai come se non esistessero, sono tante le convenzionali: leggere, pesanti, marittime, aeree e terrestri, perfino nucleari miniaturizzate e droni; anche  armi elettroniche e satellitari, scese dai fumetti ad abitare le centrali strategiche pur di fare il peggior male possibile al “nemico” (che dal punto di vista suo pensa lo stesso di voi e vi spara), disposti a versare il sangue anche per patrie altrui, mentre potreste produrre effetti peggiori delle stragi, accecando ministeri, banche, ferrovie, ospedali e procurando al nemico un caos disastroso senza ricorrere al sangue. Invece aggiungete l’elettronica al sangue. I/le cittadini/e non possono sentirsi disertori se rifiutano di inviare armi finché non sanno una data dell’escalation. Sentire che la nonviolenza intelligente suggerisce altre strategie difensive non è disertare.

Altrimenti teniamoci la guerra e le sue crescenti conseguenze: l’impoverimento dell’Europa, i danni alimentari all’Africa, la crescita della spesa militare a danno del welfare, l’accelerazione di ricerca e produzione di sistemi d’arma più sofisticati, il rischio del contagio con situazioni ancor più complesse che tenderebbero ad aggredire la Russia su più fronti.

Davvero si aprirà un secondo anno di guerra senza sapere quanto durerà e quali decisioni vengono prese nel silenzio sostanziale di chi non va oltre l’invito – amici che accusate Putin, non ricordatemelo ancora, sono d’accordo con voi – a difendere l’Ucraina? Credo di non essere la sola a volere una risposta previa il 24 febbraio. Ragionata, perché il paese sappia.

Fino alla fine della prima guerra mondiale, la guerra era un valore in sé: in tutti i paesi del mondo, esisteva, impunemente, il “Ministero della guerra”. Dopo la seconda guerra mondiale, quando si disse mai più, tutti si adeguarono: Ministero della Difesa. La parola guerra non è più amabile, mentre la difesa, rappresenta il desiderio di pace universale, paradossalmente: vale finché nessuno offende, ma se c’è un’offesa, si mettono in allerta le Forze Armate. Tra gli individui si privilegia la prudenza: se non tutti ci amano, almeno teoricamente si suggerisce di evitare la violenza e l’individuo si difende con i tribunali. Abele fu ucciso perché Caino era un cacciatore in conflitto con i raccoglitori stanziali; così i fratelli divennero nemici, un’invenzione dovuta alla paura, che non giustifica l’odio. Ma la perversione della logica amico/nemico è rimasta a livello incivile e il settore bellico non ha mai avuto cassa integrazione.

Il 24 febbraio 2022 la Russia è entrata in territorio ucraino: tenendo conto della sproporzione tra il paese offeso e il continente russo che dagli Urali arriva al Pacifico, forse era il caso di chiedere immediatamente conto all’invasore delle sue intenzioni e all’Europa di farsi mediatrice. L’attentato russo all’indipendenza ucraina è stato un’inaccettabile sfida alla libertà comune.

Forse qualcuno riteneva la Russia un paese liberale? Si è forse sfidato Putin nel 2006 in difesa di Anna Politkovskaya e dei ceceni? È noto che Putin con lo stato di diritto non ha molto a che vedere: dal 1999, anno della sua prima elezione (23 anni fa) continua a governare e ha addirittura riformato la costituzione per restare al potere fino al 2036. Potrebbe doversi dimettere? difficile, ma potrebbe: cambierebbe qualcosa con i boiardi? Contestualmente l’Europa, tranquilla, prelevava rifornimenti di gas e li pagava a Putin. In Russia c’è un’opposizione: vero, ma non è nata dalla guerra ucraina e, per ora, è ben lontana da pensarsi maggioranza.

La storia russa non è storia di poteri flessibili, neppure in campo religioso. Agli zar è succeduto Stalin. La mancanza di quell’educazione alla libertà che precede la voglia di democrazia era pensabile solo dall’élite che ospitava Voltaire nel ‘700, ma oggi è la dimostrazione più evidente del fallimento comunista. Tuttavia nessuno si augura la rottura del mosaico che, unito sotto lo zar e l’Urss, dopo Gorbaciov, costituisce la Federazione Russa, lo Stato più grande del mondo in cui vivono entità e lingue diverse: chi va in Tatarstan incontra russi con gli occhi a mandorla, ricordo di Gengis-Khan. Il turista trova il McDonald russo compatibile con l’Occidente e non vede che la Russia è diversa, è Oriente, come noi siamo Occidente.

La storia è iniziata con la fine del primo imperialismo, quando Roma non riusciva più ad amministrare le innumerevoli province e così divise l’Impero d’ Oriente da quello d’Occidente: Costantinopoli e Roma. Quando i russi diventarono cristiani, scelsero l’ortodossia di Costantinopoli: Roma era diventata un’altra cosa, cattolica. Solo che, quando il principe Vladimir nel 988 decise la conversione, lo fece a Kiev, nell’Ucraina, evidentemente ritenuta russa anche nei secoli successivi. L’Ottocento, che è il secolo dei “risorgimenti” e dei tentativi dei popoli di rendersi autonomi, vide anche nostri patrioti partecipare alla guerra di Crimea, che oggi Zelinski considera territorio ucraino, come quando, nel 2014, sancì l’illegittimità del referendum sull’autonomia chiesto dalla Crimea. Sono stratificazioni di eventi che finiscono per alimentare nazionalismi, etnicismi e patriottismi esasperati (poi, ovviamente, le guerre), causati da continua mancanza di democrazia nei governi pur eletti democraticamente. Auguriamoci che l’Azerbaigian non attenda l’esito della questione ucraina per farci un suo pensiero.

I problemi attuali si chiamano democrazia ’23. In questione è, in primo luogo, la conservazione della democrazia europea. È un problema di sicurezza: l’affideremo alla crescita degli armamenti in tutti i nostri paesi, a fronte del bisogno urgente di accrescere i bilanci della sanità, della scuola, del lavoro, della cultura? La prospettiva dell’esercito europeo non va accantonata proprio per ragioni di sicurezza. La Germania che non aveva ambizioni militari, ha messo 100 mld di investimenti in armi, la Francia idem e noi pure. Sicuri che è sicurezza?

Bisogna applicare i diritti umani, fondamento assoluto dei principi di umanità e civiltà: il diritto internazionale, le giurisprudenze europee seguono in linea di principio la Dichiarazione universale die diritti umani. La guerra ne è la negazione di fatto.

Il problema della difesa è “di chi”. Se mi accorgo di un incendio, mi precipito con un secchio o telefono ai pompieri? L’opinione pubblica mondiale ha visto che la Germania ha ceduto sulla consegna dei Leopard perché costretta: il ritardo non era dovuto a egoismo nazionalistico o perché le frontiere tedesche sono le frontiere dell’Europa e il sospetto delle risposte da parte dell’onorabilità vendicativa putiniana fa paura. La responsabilità è di erodere i minuti all’orologio di Armageddon. Se la ministra della Difesa tedesca Christine Lambrecht ha dato le dimissioni – formalmente per quello che se ne sa, immotivate – ed è stata sostituita non da Eva Högl per equilibrio di genere, ma da Boris Pistorius, qualche problema risulta evidente. Lo stesso incontro Nato di Ramstein è sembrato abbastanza confuso, l’Italia si è impegnata a mandare il sistema di difesa aerea avanzato Samp/T, portando a oltre il miliardo l’aiuto militare all’Ucraina, i governi dell’Ue non esprimono, però, loro scelte strategiche precise, i nostri generali nelle interviste non appaiono mai decisionisti e il Pentagono dà parere negativo alle scelte del presidente. I militari non lo diranno mai – avrebbero fatto un altro mestiere – ma per competenza hanno paura delle decisioni dei politici.

La Nato, infatti non può sostituire la multilateralità. E la fedeltà agli Usa non coincide con gli attuali interessi elettorali degli Stati Uniti che – il dollaro non è al massimo del suo fulgore – finora hanno delegato la guerra e i suoi costi all’Europa, ma non prevedono gli umori del Congresso. Vogliono uno scontro tra le “grandi potenze”? Ormai tra le “grandi potenze” è entrata la Cina: Biden sceglierà di provocare Taiwan o fingerà di credere alla dichiarazione di “perseguimento della pace”, scritta nelle conclusioni del Congresso del PCC (ottobre 2022) per usarne preventivamente alla prima minaccia per disinnescare le mine? La diplomazia c’è per questo, se ne ammette la riservatezza, non l’assenza di qualunque segnale positivo: dopo non si giustifica il rinvio al momento in cui le armi sparano da sole.

Se, poi, ci sono incertezze sul piano della difesa, il punto di vista economico è chiarissimo: fortunatamente il momento presenta una ripresa del mercato, ma nessuno garantisce da una recessione. I prezzi crescono, i profughi sono respinti, aumentano le disuguaglianze, i governi parlano di altri “sacrifici”, i problemi energetici causano le peggiori prospettive perché incidono sia sui problemi ambientali urgenti per i quali non ci sono finanziamenti (mentre Biden stanzia 370 mld per le imprese in sostenibilità), sia perché la guerra è fonte massima di inquinamento. Inoltre a primavera come sarà possibile il lavoro agricolo nel “granaio europeo”? Dopo la rinuncia alle forniture russe, il governo Draghi aveva aperto le vie al mercato energetico alternativo e le missioni della presidente Meloni e del ministro Tajani in Africa proseguono nell’intento di reperire nuove fonti energetiche dai paesi petroliferi. Vogliamo riprendere il problema morale pur sapendo che in politica non ha nessun valore? come stanno i diritti umani, lo stato di diritto, le libertà democratiche in Libia, Egitto, Algeria, eventualmente Qatar?

L’Ucraina è, comunque, un paese pieno di gente russa, che parla russo. Ormai è arrivato l’odio etnico come fu quello dei serbi in Kosovo. A fine guerra l’Ucraina rischia la guerra civile tra prevalenze di linguaggio. D’altra parte non sarà facile provvedere alla ricostruzione: toccherà a noi aiutare, ancor più giustamente, con la solidarietà economica. Come per le armi, bisognerà prevedere: le armi consentono intrecci perversi con droga e criminalità organizzata, ma le ricostruzioni sono il primo business dei dopoguerra: il paese non ha fama di incorruttibilità e anche Zelensky ha smontato mezzo governo per scandali sulle spese militari, ma la mafia italiana deve essere già lì. Pensiamoci fin d’ora. A meno che non si scelga un altro anno di guerra.

La democrazia, essendo il regime più fragile di tutti, non può essere violenta. Non è clericalismo cattolico: infatti dal punto di visto cristiano si potrebbe criticare perfino la guerra difensiva. È una conquista successiva alla fine della seconda guerra mondiale: la filosofia della nonviolenza.  Anche Paolo VI nel 1973 quando fu firmato l’armistizio che pose fine alla guerra del Vietnam ebbe a recriminare le guerre, vinte e perse: “il conflitto sarebbe potuto finire otto anni prima… Siate sicuri che noi condividiamo le pene, così pure le speranze e le aspirazioni dei vietnamiti”. Stenta ad estendersi e non affascina i politici perché il costume onora, oltre il dovuto, la competizione, le sfide, le prove di forza, caratteri che comportano non progresso e benessere, ma spreco di risorse umane e conflittualità e nemmeno lo sport si salva dalla guerra delle “curve”. L’Ucraina ha una legge che riconosce l’obiezione di coscienza, sospesa perché vige lo stato d’assedio e la mobilitazione è generale. Ma il Movimento Nonviolento ne riceve i documenti di opposizione alla violenza della guerra e disconoscimento dell’esasperazione nazionalista. Insegna una passione che, per chi vuole essere o diventare europeo, possiede la nobiltà patriottica della libertà di ogni casa nel rispetto delle case altrui.

Ma i cittadini europei vogliono rileggere le loro costituzioni democratiche e considerare il patrimonio culturale, sociale, economico delle istituzioni europee che fin qui hanno funzionato per unire laicamente un continente memore di storie divise e di conflitti e atrocità dovuti alle divisioni di antichi stati e imperi ritenutisi sovrani, e, rispettando le alleanze di cui sono parte attiva, non dare l’Ue in appalto alla Nato?

Avete per caso letto il lungo discorso che il 7 luglio 2022 Jacinta Andern, prima ministra della Nuova Zelanda, aveva tenuto a Sidney?

In un mondo sempre più polarizzato e conflittuale, dove le relazioni diplomatiche si fanno più dure, come perseguire una politica estera davvero indipendente? questa guerra (l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia) cambia la nozione di conflitto, è multidimensionale, produce crisi economica, logora la coesione sociale e la fiducia nelle istituzioni. I principali elementi della politica neozelandese si fondano sul senso di collettività, di cooperazione globale da rafforzare… principio di politica estera indipendente (sono i valori) dei diritti umani, dell’uguaglianza di genere, della sovranità statale e dell’azione sul clima, responsabilità che ricade su di noi. Poi, presa la mappa della Nuova Zelanda ahimè insolita la vede al centro dell’area del Pacifico: non esclude che altri possano avere interessi in quell’area, ma dobbiamo essere noi a definire le nostre priorità. E prendeva ad esempio la guerra in Europa: l’invasione di Putin senza dubbio illegale e ingiustificabile. La Russia deve essere chiamata a risponderne presso la Corte penale internazionale……non può essere la premessa di un inevitabile sviluppo in altre aree di confronto geostrategico.

Jacinta andava presa in considerazione: peccato che si è dimessa. Colpa di noi donne a cui, in genere, la guerra non piace.

Tirando la somma: davvero apriremo il secondo anno di guerra senza porre date a una strategia motivata ad una fine ragionevole?

Questo è un documento individuale, non retorico (se non per la lunghezza) né sbilanciato (nego simpatie a Putin e, in Italia, al pacifista-verde Conte) e vieto ai filorussi di farne uso.


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