BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

La religione del Suono. “Tàr” di Todd Field, con Cate Blanchett

0 0

In principio era il Suono. Il suono è per Tàr la chiave di accesso alla sottigliezza del mondo celato allo sguardo e lo strumento privilegiato – o forse unico, per la sua sostanza immateriale – di comunicazione unilaterale con Dio. Esso rappresenta la possibilità di formulare domande su domande destinate a inseguirsi senza sosta, come avviene nelle composizioni di Bach, o di condurre un filamento sonoro a estenuarsi nel languido Nulla dell’Adagietto, culmine estatico della Quinta di Mahler. Il Suono diventa ricerca inesausta, passione religiosa, mezzo di elevazione spirituale, streben come tensione verso l’indipendenza assoluta dello spirito che investe anche il corpo, idealismo trascendentale mosso dalla volontà e in grado di determinare principi morali avulsi da qualsiasi contingenza sociale.

E’ – il Suono – ciò che la spinge a intraprendere un viaggio iniziatico in Amazzonia per risalire alle origini stesse della musica umana intesa come manipolazione dei fenomeni acustici naturali, e infine ad acquisire concetti talmudici per sentire l’intenzione segreta di ogni spartito. Diventata uno dei più originali e influenti musicisti contemporanei, Tàr approda alla direzione dei Berliner Philarmoniker per una registrazione dal vivo della Quinta di Mahler.

Ben prima dei titoli di testa però, una breve sequenza insinua il sospetto che qualcosa di limaccioso si muova intorno al Maestro. Una congiura in progress tessuta da personaggi del suo entourage. Lydia Tàr è senza dubbio un’artista scomoda e controcorrente: ritiene che la musica (l’arte in genere) non sia una democrazia – e in effetti non la si può praticare utilizzando criteri da centro sociale “inclusivo” –, e che sostituendo la proliferazione dei grafemi che compongono gli acronimi queer allo studio dei compositori, in nome della correttezza politica anodina e oppressiva, si ottenga solo l’avvento di una disperante mediocrità. Le prodezze coniugali di Bach non dovrebbero interessare i suoi esegeti, spiega il Maestro a un allievo che si definisce “non binario” pretendendo di discriminare l’autore tedesco in base a elementi biografici decontestualizzati.

L’arco vertiginoso di Lydia Tàr si distanzia dalla parabola del possibile modello letterario del personaggio – Adrian Leverkühn di Mann – per l’incandescenza che Cate Blanchett instilla nel direttore, precludendo a Tàr il rischio di scivolare persino nello stereotipo più nobile. E’ esemplare, e forse non si era ancora visto al cinema niente di simile, la sistematica, finissima rappresentazione di Lydia mentre costruisce e successivamente estroflette non la sua immagine come finzione bensì i riverberi del Sé in continuo, assolato movimento. La vediamo, e impariamo ad amarla, nell’ideale specchio hoffmanniano che riflette l’Ombra. La ascoltiamo ipnotizzati mentre spiega al giornalista del New Yorker che una mano definisce la forma e l’altra indica il tempo. Proprio il Tempo – il suo scorrere e il suo fermarsi, le sue stasi e le sue demoniache sorprese – è uno dei protagonisti del film di Todd Field. Il Tempo impossibile da dominare, che turba le notti inquiete di Lydia nell’atmosfera immobile – avvolta in un perenne grigiore di pietra e di cemento – dell’appartamento smisurato e gelido che condivide con la moglie Sharon, primo violino dei Berliner, una grande Nina Hoss.

Qui torna il tema della sensibilità di Tàr ai suoni, piccoli rumori indecifrabili o il misterioso ticchettio del metronomo, che pare essersi avviato da solo nottetempo. L’aggirarsi di Lydia per corridoi e stanze, nella semioscurità, fra sonno e veglia, e la scansione enigmatica dei secondi, sembrano una non casuale citazione delle premonizioni di morte che scorrono in Sussurri e grida di Bergman. Così come si ha la sensazione che le urla lontane udite da Tàr mentre corre nel parco siano frutto delle sue qualità medianiche; ma in questo caso la storia richiede e riesce a conservare una perfetta ambiguità: non sapremo mai se le molte circostanze arcane hanno origine soprannaturale oppure sono dovute a effrazioni e messe in scena ideate dalla giovane assistente di Lydia, perennemente delusa nelle aspettative professionali e sentimentali.

Poiché oggi basta venire accusati per essere colpevoli, il suicidio di una ex allieva probabilmente squilibrata (va notata la raffinatezza con cui Field usa una copia di “Challenge” di Vita Sackville-West per annunciare la morte di Krista) dà modo a Francesca e ad altri di innescare una reazione a catena che travolge la carriera di Tàr e la sua figura morale. La foia lapidatoria del correttismo più bifolco e apodittico edifica la risaputa gogna social dalla carente costruzione sintattica per esporre al dileggio e all’esecrazione popolare il Maestro. Aspiranti soliste e allieve sedotte e dimenticate risorgono dal passato in cerca di qualche istante di visibilità per accusare Tàr di condotta immorale e parzialità di giudizio. Figure dubbie cui viene dato credito solo per lo strepito che producono e perché è un vantaggio per tutti liberarsi di una figura ingombrante e incontrollabile come quella di Lydia. Ignoriamo se le accuse siano o meno veritiere. Il punto essenziale è che appaiono irrilevanti come le valutazioni dello studentello “fluido” su Bach.

Field mostra tutta la miseria del mondo anche in storie collaterali: ad esempio la spaventosa disperazione e follia di una coppia madre/figlia vicine di casa di Tàr – anziana e consumata dalla malattia la prima, vaneggiante a causa della solitudine e del peso che comporta il continuo accudimento la seconda –, i cui azzimati parenti, che definiscono “baccano” le esercitazioni al piano del Maestro, si fanno vivi soltanto dopo la morte dell’inferma per vendere l’appartamento e internare in clinica la figlia dalla mente ormai oscurata dal dolore.

Sarebbe facile scegliere di abbandonare Tàr alla deriva di un delirio rabbioso di ascendenza romantica, sino all’autoannientamento. Ma i percorsi canonici non appartengono alla potente malìa di questo film, così il rapido franare della carriera in seguito alle venefiche e fatuamente rancorose ciarle femminee – nonché alle invidie, rivalità e moralismi che stringono il Maestro in una morsa, permeando il mood asettico di interni da archistar, esplorati da Field con il distacco insinuante di Kubrick e la capacità di creare un senso di indefinita minaccia proprio di Polanski – non conduce Lydia alla perdizione.

Dopo un raptus di violenza contro lo scialbo e intrigante Eliot Kaplan, incaricato di sostituirla nella direzione della Quinta, Tàr trova la salvezza nella devozione sacerdotale per la Musica e nei principi creativi di inflessibile serietà che intridono ogni riflesso del suo spirito. Davanti a Dio, dimentica ancora una volta se stessa nel Suono per rinascere dirigendo con la maestria di sempre piccole orchestre in angoli remoti del pianeta.

Tàr

Lingua originale inglese
Paese di produzione Stati Uniti d’America, Germania
Anno 2022
Durata 158 min
Rapporto 2,39:1
Genere drammatico
Regia Todd Field
Soggetto Todd Field
Sceneggiatura Todd Field
Produttore Todd Field, Alexandra Milchan, Scott Lambert
Produttore esecutivo Cate Blanchett, Phil Hunt, Stephen Kelliher, Marcus Loges, Compton Ross, David L. Schiff, Uwe Schott, Nigel Wooll
Casa di produzione Standard Film Company, EMJAG Productions
Distribuzione in italiano Universal Pictures
Fotografia Florian Hoffmeister
Montaggio Monika Willi
Musiche Hildur Guðnadóttir
Scenografia Marco Bittner Rosser, Ernestine Hipper
Costumi Bina Daigeler
Interpreti e personaggi
  • Cate Blanchett: Lydia Tár
  • Noémie Merlant: Francesca Lentini
  • Nina Hoss: Sharon Goodnow
  • Sophie Kauer: Olga Metkina
  • Julian Glover: Andris Davis
  • Allan Corduner: Sebastian Brix
  • Mark Strong: Eliot Kaplan
  • Sylvia Flote: Krista Taylor

La religione del Suono. “Tàr” di Todd Field, con Cate Blanchett


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21