Oggi Giulietta compirebbe 102 anni, e per ricordarla vorrei parlare dei suoi occhi, del suo sguardo, così intenso e misterioso da lasciare spesso incantati. Per festeggiare il suo compleanno dirò volentieri ciò che penso.
Ogni donna è una dea ferita, una dea che perde sangue e crea la vita. L’ha raccontato una volta per tutte lo scrittore danese Hans Christian Andersen nella fiaba della Sirenetta. Una creatura semidivina che vive nelle profondità marine, ma a quindici anni, secondo la tradizione delle sirene, le viene concesso di nuotare fino alla superficie per guardare il mondo sopra il mare. La Sirenetta ha così modo di vedere una nave comandata da un bellissimo principe, di cui si innamora. Per poter vivere con lui, aveva chiede al Re suo padre o forse al dio Poseidon, di renderla umana. Il Signore del mare le annuncia il dolore che ciò comporterà, perché dovrà rinunciare alla coda, accettare che venga lacerata e si trasformi in due gambe, e lei in una femmina. Per amore la Sirenetta rinuncia alla sua natura sovrannaturale e diventa una di noi. Conosce insieme alla sofferenza il piacere dell’amore, e tuttavia quel dolore infinito resta come un’ombra nel fondo dei suoi occhi.
Quella stessa ombra è presente nello sguardo della Masina insieme a qualcos’altro di più misterioso, di cui mi sembra di aver scoperto l’origine. Come? Guardandola con molta attenzione proprio negli occhi e mostrando ai miei studenti, o ai miei ascoltatori, un’immagine di lei assolutamente struggente e sconosciuta. Ciò avviene nel film La Strada, precisamente nel momento in cui la giovane protagonista deve lasciare la madre, le sorelle, la stamberga sulla spiaggia in cui è sempre vissuta con infantile felicità, e ora dovrà seguire il brutale Zampanò, il saltimbanco che l’ha comprata e la porterà via con sé. Per sempre. Verso dove? Non lo sa. Con chi? Un uomo che non conosce. Ecco in quel momento della storia, l’attimo prima di salire sul cassone del motocarro di Zampanò incontro all’inevitabile, Fellini la riprende in un primo piano stretto, insistito, molto lungo, inquadrando il suo sgomento. Giulietta ha assunto l’espressione di una bambina di tre, quattro anni, negli occhi lo smarrimento e, insieme, un baluginio della novità, la curiosità per ciò che l’attende: due sentimenti in contrasto che si fondono nei suoi occhi comunicandoci una commozione insormontabile.
Andiamo a riguardare quel primo piano, e capiremo tutto di Giulietta, di Gelsomina, di Zampanò, di Federico e della Sirenetta. La nostra amata Giulietta, Giuliettina come la chiamava Federico con il diminutivo del diminutivo, a quell’età così acerba era stata affidata dai genitori alla zia ricca di Roma, la zia Giulia, erede del calzaturificio di Varese, sposata con il fratello della madre Eugenio Pasqualin, professore di liceo nella Capitale.
Vi siete mai soffermati da adulti sulla paura che si impossessava da voi, bambini di pochi anni, quando vostra madre vi lasciava appena la mano o si allontanava sia pure per pochi minuti? Il sentimento di abbandono, di desolazione, di pianto che vi stringeva il cuore come una spugna? Ecco, quello stesso sentimento deve aver provato Giulietta, piccolissima, abbandonando per sempre la sua casa a San Giorgio di Piano, la madre, il padre, le sorelle, il fratello, gli odori domestici, la minestra di casa, i giochi, le risa, il proprio lettino, e all’improvviso partire verso una località sconosciuta, Roma, che cos’è Roma per un bambino di tre anni? Cosa sono le altre stanze chela attendono, le altre facce, gli ambienti sconosciuti, la scomparsa improvvisa di ogni sicurezza e del mondo in cui fino a quel momento era stata accolta, nutrita, cresciuta, accudita, abbracciata? Non c’è molto altro da aggiungere.
Giulietta, dicono, era andata a star meglio, in una famiglia benestante in cui avrebbe avuto molte più opportunità che nel suo povero borgo, a San Giorgio di Piano. E così è stato. Ma a quale prezzo, con quali ferite profonde, quali turbamenti nell’inconscio?
Ecco, andiamo per favore a rivedere l’immagine, la sequenza che ho appena suggerito, e avremo la risposta. Quel dolore irrimarginabile era restato nei suoi occhi; l’angoscia che scopriremo di nuovo durante il dialogo con il Matto, quando l’allegro funambolo che si è innamorato di lei, si china, raccoglie un sasso da terra, glielo porge spiegandole: “Siamo venuti tutti al mondo con un compito, tutti siamo indispensabili: se questo sasso non avesse alcun valore allora non avrebbero valore neppure tutte le stesse che splendono in cielo.” Gelsomina lo stringe nel pugno e guardate se il suo sorriso in quel momento, non è proprio lo stesso della Sirenetta. Impariamo a conoscere Giulietta e avremo la chiave magica per entrare nel meraviglioso universo di Fellini.
Ma c’è ancora uno sguardo che va aggiunto, e che nei decenni è diventato un’icona, un must, per ogni spettatore di cinema, per ogni appassionato dei film di Fellini. Si trova nell’ultima sequenza di Le notti di Cabiria. La protagonista, per l’ennesima volta, è stata tradita dall’uomo di cui si è innamorata, ha lasciato tutto per lui, come la Sirenetta; ha venduto quel poco che possedeva, persino la casetta abusiva di mattoni all’estrema periferia di Roma, dove viveva facendo la prostituta. Era andata persino in devozione al Santuario del Divino Amore, e s’era rivolta alla Madonna per chiederle la grazia: “Madonna mia aiutame a cambià vita, famme tornà una donna normale” Questa volta ci aveva proprio creduto; invece l’abietto mascalzone l’aveva circuita per rubarle quei pochi risparmi infilati nella borsetta, tentando per di più di ammazzarla, attirandola verso l’incantevole panorama del Lago di Castel Gandolfo per spingerla a tradimento nel burrone e scappare da bandito qual è. A quel punto lei è disperata, ha perso tutto, non ha più niente, e soprattutto non ha l’amore in cui aveva creduto. Desidera soltanto morire, urla e implora prona a terra, disfatta dal dolore. Ma poi lentamente si rialza, chissà come riesce a riattraversare il bosco e tornare sulla strada dei Castelli. Si muove come uno zombi, avanza con lo sguardo vuoto, senza sapere dove dirigersi. Quando all’improvviso una compagnia di ragazzi reduci dalla scampagnata, le si fanno intorno cantando, suonando il mandolino. E una ragazzetta dal viso buono si rivolge a lei, proprio a lei, dicendole “Buona sera.” Abbiamo davanti agli occhi una trasfigurazione: osserviamo il suo viso, ammaccato, pesto, disfatto, privo di ogni espressione che, stupito da quell’atto di amore, riaccende timidamente un accenno di sorriso; gli occhi riprendono vita, Fellini le fa colare sullo zigomo una lacrima di mascara, così simile al trucco di un clown; e la povera creatura rialza la testa, la luce della speranza invade il suo volto, Cabiria si guarda intorno e poi fissa direttamente l’obiettivo della macchina da presa, sta guardando noi, proprio noi, spettatori seduti nel buio della sala: è lei, con il suo sorriso bagnato di lacrime, che sta dando coraggio a noi, anzi a tutte le donne come lei che hanno subito interminabili soprusi per migliaia e migliaia di anni, ed è come se dicesse: “Coraggio sorelle, se ce l’ho fatta io potete farcela anche voi. La vita è dalla vostra parte, rialzate la testa, nessuno su questa Terra potrà mai avere la meglio su di voi, perché voi, noi, siamo la vita. Se il mondo esiste è perché noi esistiamo.”
I critici marxisti avevano urlato allo scandalo: l’attrice protagonista non poteva guardare in macchina, mai!, per carità, era un errore grammaticale inaccettabile, in contrasto con ogni regola, rinnegava lo specifico filmico! Ignobili farisei, cattivi maestri, prigionieri di una cieca ideologia. Fellini, incurante di ogni precetto teorico e imposizione, ci aveva donato un finale grandioso, che ancora oggi e sempre ci commuove fin nel profondo. E Giulietta aveva saputo recitarlo come nessuna altra attrice al mondo.
Ci sarebbe tanto ancora da narrare su Giulietta che oggi compie gli anni. Nel libro che ho scritto su di lei, ho riportato nelle primissime pagine il racconto che la impagabile signora Masina riporta del suo incontro con le puttane di Tor di Quinto in una sera fredda e piovosa a Roma. Basta leggere quelle due paginette per sapere, scoprire, che cosa è stata Giulietta Masina, che cosa ha rappresentato nel nostro cinema e nella nostra vita.
Buon Compleanno Giulietta, mille di questi anni. E alle amiche di Articolo 21, a tutte le donne una raccomandazione: Sirenette lo siete ancora, non dimenticatelo mai.