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Il colpo definitivo alla sanità pubblica 45 anni dopo la riforma

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L’ultima speranza è che non arrivi all’approvazione, ma il governo più vergognoso che abbia avuto l’Italia riuscirà a distruggere definitivamente il sistema sanitario nazionale e a fare una sanità di serie diverse a seconda delle regioni.
Quello della sanità è di gran lunga il problema più grave che apre la legge sull’autonomia differenziata, destinata a sbriciolare quel po’ di solidaristico che ancora c’è nel nostro servizio sanitario nazionale a vantaggio delle regioni più ricche e a tutto discapito di quelle messe peggio.
L’insieme delle regole per l’autonomia differenziata pone alcune regioni, a partire da Lombardia e Veneto, nella condizione di spendere molto di più per la sanità ma non esclusivamente nei presidi della sanità pubblica, bensì ampliando le convenzioni con le strutture private. E’ soprattutto, ma non solo, una questione di budget.
Ogni intesa Stato-regione «individua le modalità di finanziamento delle funzioni attribuite attraverso compartecipazioni al gettito di uno o più tributi o entrate erariali maturato nel territorio regionale». E siccome le più ricche regioni del centro-nord potranno attingere a un gettito fiscale maggiore di quelle del sud, è chiaro che i Lep ( p sta pere prestazione) o i Lea (a sta per assistenza) che dir si voglia non saranno affatto uguali da un punto all’altro di questo sempre più disgraziato paese. E attenzione alle sfumature: livelli essenziali di prestazione sono diversi da livelli essenziali di assistenza, così come il mondo della sanità cambiò, in peggio, quando le Usl, Unità Sanitarie Locali, divennero Asl, Aziende sanitarie locali. La salute sta da una parte, i budget e il business da un’altra parte. Almeno così la vedeva Tina Anselmi, che riuscì dopo una dura bataglia politica a far approvare la riforma del sistema sanitario nazionale, esattamente 45 anni fa.
Nella nuova autonomia farà la vera differenza il sistema di riparto del fondo sanitario nazionale, che dando maggiore peso alla popolazione anziana anziché alla marginalità sociale, non potrà che avvantaggiare le regioni più ricche. Al netto delle risorse per la lotta al Covid, la spesa pro-capite raggiunge il suo apice in Emilia Romagna con 2.200 euro, seguita da Valle d’Aosta a 2.150 e con una manciata di euro in meno dalla Liguria. Ma ad accezione del Molise le regioni del sud vanno dai duemila euro a scendere, fino ad arrivare al minimo della Calabria con poco più di 1.900 euro.
E poi, cambierà qualcosa nella meritocrazia dei concorsi, nella professionalità, nella preparazione del personale sanitario? E l’organizzazione dei pronto soccorso, e i medici di famiglia? Certamente no. E le assunzioni saranno anche quelle proporzionate ai budget regionali e, come prima più di prima, alle raccomandazioni. Dobbiamo aspettarci il peggio in una situazione dove già oggi la sanità pubblica ha toccato il fondo. L’Italia ancora una volta “derubata e colpita al cuore”…diventa perfino difficile pensare “W l’Italia, l’Italia che non muore”!


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