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Il Brasile dice “no” al razzismo da stadio

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La federazione calcio brasiliana, CBF, sarà la prima al mondo ad applicare penalizzazioni in classifica in caso di razzismo all’interno di uno stadio. E’ una decisione storica. La nuova normativa entrerà in vigore dal prossimo 22 febbraio, data di inizio della Copa do Brasil.
La nota ufficiale recita: “ si ritiene gravissima l’infrazione di carattere discriminatorio praticata da dirigenti, rappresentanti e professionisti delle Società, atleti, tecnici, componenti della Commissione tecnica, tifosi e squadre arbitrali.”
Una piena assunzione di responsabilità del mondo del calcio brasiliano. Non più solo parole, ma fatti. E fatti che potrebbero incidere sulla classifica finale delle competizioni. Un passo coraggioso che finora nessun organismo del calcio, nel mondo, aveva avuto la forza di intraprendere.
Ma il Presidente della CBF, da sempre impegnato nella lotta contro ogni forma di razzismo, precisa anche che la norma non si esaurirà nella sanzione sportiva: “ il resoconto della partita”, afferma Rogèrio Caboclo “sarà trasmesso anche al Pubblico Ministero e alla Polizia Civile affinché il processo non avvenga solo in ambito sportivo e i trasgressori siano puniti anche dalla legge.”
I fenomeni discriminatori sono frequenti nel mondo del calcio e nel mondo sportivo in generale. Il calcio in particolare assorbe e ripropone le contraddizioni della società all’interno degli stadi, spesso amplificandole per l’enorme impatto mediatico che genera. E non è un caso che le curve, specie in Italia, siano diventate anche terreno di proselitismo politico di frange razziste, fasciste e xenofobe.
L’ aggettivo “ gravissima” applicato dalla federazione brasiliana all’ “infrazione di carattere discriminatorio” assume un particolare rilievo culturale. Il calcio non può tollerare zone franche all’interno dei propri impianti se non rinnegando se stesso e i suoi valori. Lo sport è terreno di inclusione, e più forte in ambito sportivo deve essere il richiamo ai valori fondanti.
Non basta più una fascia sul braccio dei capitani con l’impegno contro ogni razzismo. Non basta ad eliminare il problema. Accanto alle campagne di sensibilizzazione occorrono strumenti in grado di perseguire i razzisti mascherati da tifosi per riconsegnare gli stadi a chi vuole davvero godere la bellezza di una partita.
E’ un tema centrale, insieme a quello della sostenibilità economica del movimento. Se il calcio vuole avere un futuro ha bisogno di eliminare le sue tossine. E tra le più insidiose ci sono quelle del razzismo.
Non possiamo prevedere se l’iniziativa della CBF potrà portare altre federazioni a compiere lo stesso passo. Certo è che il coraggio di questo provvedimento potrà avviare una riflessione. E magari incrinare i sentimenti di indifferenza e di puro interesse economico che sembrano alimentare chi dirige il calcio contemporaneo.
Il calcio è sicuramente un business, un’azienda. Ma non può dimenticare di essere soprattutto sport. Anche perché il rischio è quello di allontanare nel tempo i tifosi veri che, per fortuna, sono la maggioranza.
E sono anche coloro che alimentano il business. Finché non si stancheranno.

Riccardo Cucchi


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