È la decolonizzazione mentale l’arma vincente contro il razzismo. “Insegnare comunità” di Bell Hooks

0 0

Insegnare, per Bell Hooks, è condividere la crescita intellettuale e spirituale degli studenti. Impegnarsi per porre fine al razzismo nell’istruzione è l’unico cambiamento realizzabile a beneficio degli studenti neri e, in generale, di tutti gli studenti.

Se i neri americani hanno dovuto, e devono ancora, lottare contro la discriminazione e la segregazione, di fatto i neri d’Italia, pur trovandosi in scuole libere, pubbliche e aperte a tutti, spesso sono stigmatizzati come stranieri, anche se nati e cresciuti qui. Altre volte sono etichettati come alunni con «bisogni educativi speciali» solo perché non parlano ancora la lingua italiana o sono traumatizzati per i trascorsi, per la fuga da paesi in guerra o povertà estrema.

A differenza della generazione di Bell Hooks, che ha comunque avuto nelle scuole segregate insegnanti-modello a cui ispirarsi e che spronavano a impegnarsi e a eccellere, nelle scuole italiane non ci sono ancora insegnanti con lo stesso retroterra degli alunni. Ovviamente ciò non vuol dire che si auspica la realizzazione di scuole segregate, tutt’altro. La creazione di una scuola multietnica e multiculturale a ogni livello.

L’educazione funziona e favorisce l’autostima degli studenti bianchi, neri e di colore (intesi come “non bianchi”) solo se chi educa è antirazzista nelle parole e nei fatti.

Una delle situazioni più ricorrenti, sottolineata da Hooks nel testo, riguarda proprio il fatto che la gran parte di coloro che si dichiarano antirazzisti, nel loro quotidiano, non frequentano persone nere  o di colore. Non hanno grandi rapporti con loro. La loro cerchia si compone, alla fin fine, di persone bianche.

L’insegnamento può essere un’attività gioiosa e inclusiva, ma deve essere assolutamente ripensato per affrontare in maniera risolutiva le discussioni su razza, genere, classe e nazionalità. Hooks sostiene che l’insegnamento può avere luogo in diverse e molteplici situazioni quotidiane di apprendimento: nelle case, nelle librerie, negli spazi pubblici e ovunque le persone si riuniscano per condividere idee capaci di influenzare la loro vita.

Per Bell Hooks, gli insegnanti imparano mentre insegnano e gli studenti imparano e condividono la conoscenza e, in tale conoscenza, tutti si riconoscono come membri di una comunità.

Nella prefazione, Rahma Nur condivide con Hooks la presa di coscienza dell’assenza di altre donne nere negli ambienti di lavoro frequentati e ricorda che, se negli ambienti accademici vissuti dall’autrice si era arrivati a sdoganare i discorsi su razza e razzismo, in Italia si è ancora ben lontani da ciò. Nel senso che sono discorsi ripresi e sviluppati dagli stessi neri, in svariati luoghi, ma l’opinione pubblica e i mezzi di comunicazione fanno ancora molta fatica ad accettare certi argomenti.

Invece bisogna far capire che il «modello suprematista bianco plasma le nostre percezioni quotidiane» in ogni momento, e questo succede negli Stati Uniti come in Italia. Necessita un lavoro di decolonizzazione e auto-decolinazzione mentale.

L’Italia è stato un paese colonizzatore e certi pensieri e atteggiamenti suprematisti fanno parte di questo retaggio. Se le persone bianche non possono liberarsi dal pensiero e dall’azione suprematista bianca, le persone nere e di colore non saranno mai veramente libere: questo vale anche per noi e per chi ha dimenticato o non conosce le violenze impartite ai popoli del Corno d’Africa (Eritrea, Etiopia, Somalia) che l’Italia ha colonizzato.

La cultura dominante ha paura ad approcciarsi a nuove idee e nuovi modi di vedere il mondo. Eppure è importante sostenere la giustizia sociale trasformando il sistema scolastico ed educativo in modo che la scuola non sia il luogo in cui chi studia subisce un vero e proprio indottrinamento volto a sostenere il patriarcato capitalista imperialista e suprematista bianco o qualsiasi altra ideologia, ma piuttosto dove impara ad aprire la mente, a impegnarsi nello studio rigoroso e a pensare in modo critico. Generando in tal modo una vera e propria «pedagogia della speranza».

Mentre il mondo accademico diventa sempre più un luogo in cui le aspirazioni umanitarie possono realizzarsi attraverso l’educazione come pratica della libertà e la pedagogia della speranza, il mondo esterno insegna ancora, purtroppo, la necessità di mantenere l’ingiustizia, la paura e la violenza. La critica al concetto di alterità, capeggiata dall’educazione progressista, non è potente quanto l’insistenza dei mass media conservatori sul fatto che tale alterità debba essere riconosciuta, braccata e distrutta.

L’odio incarna un complesso insieme di paure che riguardano la differenza e l’alterità. Rivela ciò che alcune persone temono in sé stesse, le proprie differenze. Inoltre, sottolinea ancora Hooks, l’odio si forma intorno all’ignoto, alla differenza percepita come alterità.

I cittadini di tutto il mondo sono attraversati dal cinismo mortale che normalizza la violenza, che fa la guerra e sussurra che la pace non è possibile, che non può esistere pace tra individui diversi, che non si assomigliano né parlano allo stesso modo, che non mangiano lo stesso cibo, non adorano gli stessi dei o non parlano la stessa lingua.

Bell Hooks sottolinea come spesso chi insegna si dimostra riluttante a riconoscere fino a che punto il pensiero suprematista bianco informa ogni aspetto della nostra cultura, comprese le modalità di apprendimento, il contenuto di ciò che si apprende e il modo in cui viene insegnato. E ciò vale anche per tutti gli altri che insegnanti non sono.

Ricorda l’autrice un test che somministrava durante le sue conferenze: quale identità sceglieresti se potessi reincarnarti? Le opzioni sono: maschio bianco, femmina bianca, maschio nero, femmina nera.

Ogni volta andava per la maggiore l’opzione “maschio bianco” e per ultima “femmina nera”.

Perché? La gran parte delle risposte dava come motivazione il privilegio basato sulla razza. E sul genere.

Chiunque compirà questo test con sé stesso dovrà ammettere che è un dato di fatto.

Nella nostra cultura quasi tutti, indipendentemente dal colore della pelle, associano la supremazia bianca al fanatismo conservatore ed estremo, ai naziskin che predicano tutti i vecchi stereotipi razzisti della purezza. Eppure, sottolinea Hooks, questi gruppi estremisti raramente minacciano il quotidiano. Sono le credenze e i pregiudizi suprematisti della compagine bianca “moderata”, più facili da nascondere e dissimulare, che sostengono e perpetuano il razzismo quotidiano come forma di oppressione di gruppo.

Diventare razzisti o meno è una scelta che facciamo. Nel corso della nostra vita siamo costantemente chiamati a scegliere da che parte stare rispetto al razzismo.

La cultura dominante ci vuole spaventati e desiderosi di scegliere la sicurezza al posto del rischio, l’identità invece della diversità. Superare la paura, scoprire cosa ci unisce e saper apprezzare le differenze è il grande messaggio che dona al lettore il libro di Hooks. Un movimento che ci avvicina e ci offre un mondo di valori condivisi, e un senso significativo di comunità.

Un messaggio intenso e potente come il libro che lo racchiude e lo diffonde.

 

Il libro

Bell Hooks, Insegnare comunità. Una pedagogia della speranza, Meltemi, Milano, 2022. Prefazione di Rahma Nur. Traduzione di Feminoska. Titolo originale: Teaching community: a Pedagogy of Hope.

 

L’autrice

Bell Hooks: è stata una studiosa femminista afroamericana. Il suo lavoro esamina l’intersezionalità di razza, capitalismo e genere e il modo in cui questa contribuisce a perpetuare i sistemi di oppressione e il dominio di classe.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21