Il leader curdo, Selahattin Demirtas, in carcere in Turchia dal 2016, accusa il presidente Recep Tayyip Erdogan di aver messo in atto un progetto sovversivo per tentare di bandire il Partito Democratico del Popolo dal panorama politico turco.
Un piano per fomentare il “caos” nell’opposizione turca prima delle elezioni di quest’anno, da cui il presidente in carica sa di rischiare di uscire sconfitto, dopo due decenni al potere.
Sarà per questo che le repressioni di ogni forma di diritti e del dissenso attuate dal governo di Ankara si intensificano di giorno in giorno.
Dal carcere di Edirne, nel nord-ovest della Turchia, l’ex leader del partito filo-curdo ha esortato il principale blocco di opposizione del paese a cooperare per vincere le elezioni presidenziali e parlamentari previste per maggio.
Tuttavia, il futuro dell’HDP è tutt’altro che assicurato: un pubblico ministero ha cercato di chiudere il partito per legami con militanti curdi. Un’ennesima azione giudiziaria al culmine di una repressione durata anni contro il terzo partito nel parlamento turco.
Demirtas, che non è più il leader dell’Hdp ma rimane una figura politica chiave nonostante sia in prigione dal 2016, ha denunciato con forza che dietro la “spinta legale” per chiudere il partito ci sono Erdogan e il suo partner dell’alleanza nazionalista, Devlet Bahceli.
L’arma della giustizia è la prediletta dal presidente turco conto i suoi oppositori. Come dimostra la condanna lo scorso dicembre all’ergastolo del filantropo e intellettuale Osman Kavala, considerato il rivale più autorevole di Erdogan, e la stessa pena inflitta alla scrittrice, sociologa e attivista turca Pinar Selek.
La militante è accusata da Istanbul di complicità con i curdi del Pkk sin dal 1998, quando fu arrestata e torturata in carcere. Una catena di accuse false che ha sempre respinto, come Kavala accusato di essere tra i promotori del golpe sventato nel 2016.
E la lista degli indagati, arrestati, condannati continua ad aumentare.