C’è una pruriginosa compiacenza sui media nel coinvolgere tutta la sinistra socialdemocratica e progressista europea nello scandalo “Qatargate”.
Le personalità coinvolte andranno processate rapidamente e nessuno sconto dovrà essere fatto. Ma il fenomeno è molto più vasto e coinvolge quasi tutti gli orientamenti politici, specie di destra.
È stata di certo minata la credibilità dell’Europarlameto, l’unica istituzione comunitaria eletta a suffragio universale dal 1979 (dal 2019 sono stati ridotti a 705 deputati in rappresentanza di 448 milioni di abitanti).
La retribuzione lorda mensile degli Eurodeputati è sui 9.386,29 euro. A questi vanno aggiunti rimborsi spese per viaggi, pernottamenti, ristoranti, PC e smartphone, canoni di servizi vari, oltre ai contributi per gli Assistenti. Ma per alcuni, come per i rappresentanti italiani, il compenso è simile a quello nazionale e qui di più alto: sui 16 mila euro mensili.
In quanto alle retribuzioni nei Parlamenti nazionali, secondo l’Indipendent parliamentary standards authority (IPSA), questa era nel 2020 la classifica mondiale in sterline: gli italiani erano i primi con 120.546, seguiti da Australia (117.805), Stati Uniti(114.660), Canada (100.166) e Norvegia (87.964). Nella seconda parte della classifica ci sono: Irlanda (79.556), Germania (78.979), Nuova Zelanda (74.154), Svezia (69.017). Infine, gli ultimi tre sono: Gran Bretagna (66.396), Francia (58.815), e Spagna (28.969).
L’Europarlamento ha un potere consultivo e di “codecisione”, ma tutto il potere esecutivo e legislativo è nelle mani della Commissione Europea. Il “male oscuro” della corruzione e dei favoritismi non risiede quindi solo tra le comode poltrone degli Europarlamentari di Bruxelles e Strasburgo. Il “male oscuro” si annida soprattutto in altre istituzioni non elettive, come appunto la Commissione e i vari Comitati regionali.
Nel Settembre del 2020, in occasione del Referendum voluto e imposto dai 5Stelle sulla riduzione del numero di Deputati e Senatori, scrissi un’allarmata analisi sui pericoli di questa riforma costituzionale, dal titolo: “Il SI’ è un pericoloso via libera a una democrazia oligarchica: meno parlamentari e più lobbisti”.
Il Referendum non è stata una questione di riduzione dei numeri e di qualche flebile risparmio delle spese pubbliche. Più allarmante è invece “il messaggio criptico” che sottintende: la scomparsa dell’agibilità democratica dei cittadini, il poter scegliere i propri rappresentanti, oltre all’ormai decaduto ruolo di Concertazione dei “Corpi intermedi”: sindacati, partiti, associazioni categoriali e consumeristiche. Siamo di fronte ad un pericoloso “via libera” verso sistemi oligarchici delle democrazie liberali, che da tempo stanno sclerotizzando e mettendo in crisi gli USA: meno Parlamentari, maggior numero di Lobbisti.
La Germania, con il Bundestag, detiene il primato per il numero dei Deputati: 709 su 82 milioni di abitanti. Il sistema legislativo comprende inoltre la Camera dei Lander, il Bundesrat, con 69 rappresenta ti eletti dai vari consigli regionali.
In Gran Bretagna c’è la Camera dei Comuni, che si compone di 650 Deputati in rappresentanza di 66 milioni di abitanti. La Monarchia federale britannica (4 stati con rispettivi Parlamenti dall’ampia autonomia legislativa: Inghilterra, Galles, Nord Irlanda e Scozia) si basa sul bicameralismo con la Camera dei Lord: 772 membri non elettivi, di cui 87 a vita.
In Francia l’Assemblea Nazionale si compone di 577 membri eletti in rappresentanza di 67 milioni di abitanti.
Il Senato ha 346 membri eletti “a suffragio indiretto” da 150 mila amministratori locali, regionali e deputati.
Gli Stati Uniti d’America sono l’esempio più calzante con il loro sistema elettorale maggioritario secco: il Presidente è capo del governo e viene eletto dai “Grandi elettori”, anche se il numero dei voti popolari è minore del suo sfidante (come nel caso di Trump che aveva 3 milioni di voti in meno della Clinton). La Camera è composta da 441 membri (435 con diritto di voto), rappresentano 332 milioni di abitanti e durano in carica solo 2 anni. Il Senato è formato da 100 membri, 2 per ogni Stato, che durano in carica 6 anni. Si rinnova di un terzo ogni 2 anni.
A fronte di questa minima rappresentanza (ogni Stato federale ha un suo parlamento e un governatore con ampi poteri), vi sono almeno 30 mola lobbisti registrati all’opera nella Capitale, con illimitate possibilità di incidere sulla formazione delle leggi (sottoposte anche al loro vaglio per le modifiche), di determinare le scelte di ministri, sottosegretari e parlamentari.
La maggior parte sono avvocati con stipendi da Top Manager, che fanno impallidire gli emolumenti dei Deputati, Senatori e dello stesso Presidente. Inoltre, è proprio tra loro che sempre più spesso i due partiti storici scelgono i nuovi rappresentanti. Nella storia contemporanea, i coniugi Clinton, avvocati, facevano parte di uno studio lobbistico, mentre Bush Senior era un influente esponente dei petrolieri e delle industrie della Difesa.
Eredi di una lunga tradizione di due secoli, regolamentata oggi dalla The Federal Regulation of Lobbying Act (1946), i lobbisti (80% laureati in legge, poi ingegneri, medici, chimici) godono di retribuzioni molto elevate, in grado di far approvare leggi che tutelano gli interessi delle industrie, specie della Difesa, società finanziarie e assicurative, i ” giganti” del WEB, delle TLC e i “Big Pharma”.
A Bruxelles sta esplodendo una situazione analoga: tra l’Europarlamento e la Commissione operano oltre 15 mila lobbisti a fronte dei 705 deputati.
15 mila lobbisti che curano gli interessi delle grandi industrie, finanza, assicurazioni, associazioni di categoria, gruppi ambientalisti, gli agricoltori, le industrie farmaceutiche, chimiche e agroalimentari, i settori del WEB, TLC e Difesa.
Spesso gli studi di lobbying sono proprietari di prestigiosi edifici nel quartiere comunitario e organizzano eventi culturali, artistici e conviviali da far impallidire i regnanti del Belgio. Sono tutti superlaureati e superpagati. Registrati in uno speciale Albo unico comunitario, i lobbisti hanno libero accesso nelle riservate stanze dei deputati, dei commissari e dei funzionari. Possono anche partecipare come osservatori ai lavori delle commissioni parlamentari e hanno a disposizione i Draft, le bozze quasi definitive delle leggi e delle direttive, sulle quali inseriscono le loro modifiche interessate, esponendo anche i loro criteri e i risultati di ricerche di mercato.
A questi “lobbisti regolamentati” nell’albo vanno aggiunte le migliaia di responsabili dei Rapporti istituzionali, anche loro con libero accesso nei corridoi del Parlamento e tra le stanze dei vari dipartimenti della Commisione UE.
Nelle società di consulenza che offrono questo tipo di servizi lavorano spesso ex parlamentari, che per il loro passato, conoscenze e reti accumulate in carriera hanno facile accesso ai parlamentari in carica rispetto ai lobbisti “semplici”: proprio come l’italiano Antonio Panzeri, uno degli arrestati nel Qatargate. In generale, gli ex parlamentari sono molto ricercati come lobbisti, anche perché per via del loro ruolo passato possono entrare in Parlamento quando vogliono, senza bisogno di registrarsi come lobbisti: nel 2017 Politico calcolò che 51 di questi ex, a fine mandato dal 2014, erano dipendenti di organizzazioni presenti nel Registro per la trasparenza(12.450, fra cui 3.493 ONG, 2.632 Associazioni di categoria, 972 Sindacati o Associazioni professionali).
Spiega Alberto Alemanno, esperto di trasparenza e fondatore dell’organizzazione The Good Lobby: “i parlamentari non hanno l’obbligo di dare conto di chi incontrano nè esiste un divieto di avere lavori paralleli: circa un quarto degli europarlamentari mantiene incarichi da libero professionista e questo crea un conflitto di interessi permanente”.
In teoria i parlamentari europei possono registrare gli incontri con i lobbisti in un portale apposito, i cui dati sono accessibili: in realtà l’uso del portale, per nulla o quasi utilizzato, è obbligatorio solo per chi ricopre incarichi rilevanti, come i Presidenti di Commissioni o i relatori di determinati provvedimenti, mentre per tutti gli altri è volontario. Le Lobby si fanno sentire soprattutto i occasione di importanti passaggi legislativi, come per esempio l’approvazione della pluriennale Politica agricola europea(PAC), che muove diversi miliardi dal bilancio dell’Unione.
Josè Manuel Barroso, 66 anni, politico e banchiere portoghese. Dal 2004al 2014 è stato Presidente della Commissione Europea. In passato è stato anche Ministro degli Esteri e Capo del governo a Lisbona.
L’8 luglio del 2016 è stato nominato Presidente non esecutivo e advisor della potente banca d’affari Goldman Sachs. Il suo incarico fece molto scalpore rispetto al “codice etico” cui i Commissari dovrebbero attenersi, al termine dei loro incarichi.
Iniziò a dar politica all’università, prima della “Rivoluzione dei Garofani” dell’aprile 1974. Era uno dei leader della FEM-L (Federazione degli Studenti Marxisti-Leninisti), sezione giovanile del Movimento clandestino maoista MRPP (Movimento Riorganizzativo del Partito del Proletariato), poi unitosi al Partito Comunista dei Lavoratori Portoghesi. Successivamente giustificare la sua scelta giovanile, sostenendo che era stata motivata dall’opposizione contro il movimento giovanile del Partito Comunista di Alvaro Cunhal. Nel dicembre del 1980, Barroso aderì al PSD, Partito Socialdemocratico, principale movimento del centrodestra portoghese. Nel 1991 aderì al Movimento europeo del Portogallo.
Neelie Kroes, 81 anni, olandese, è stata Commissaria europea con la presidenza Barroso dal 2004 al 2014. Nella sua carriera politica nei Paesi Bassi, la Kroes è stata per il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia, di destra, ministro dei trasporti, lavori pubblici e opere idrauliche. Ha fatto parte di vari Consigli di amministrazione in numerose società multinazionali, prima e dopo i suoi incarichi politici. Nel 2004, nominata Commissaria europea per la Concorrenza, fu pesantemente criticata, proprio a causa dei suoi legami con varie multinazionali e un suo presunto coinvolgimento in traffici d’armi poco chiari. La Kroes si è tutelata ogni volta che ha dovuto gestire questioni inerenti a settori industriali in cui aveva svolto attività di membro dei CdA, delegando i poteri al Commissario Charles McCreevy.
Nel 2009 divenne anche Vicepresidente con delega alla “Società dell’informazione e TLC” e nel 2010 Commissaria per l’agenda digitale. La Digital Agenda for Europe è affiancata dalla EU Digital Competitiveness Report. La Kroes è una sostenitrice del software libero e dell’open source.
Emer Cooke è l’attuale Direttrice esecutiva dell’EMA, l’Agenzia europea del farmaco. 60 anni, laureata in farmacia al Trinity College di Dublino, gestisce anche le scelte di politica vaccinale europea. È lei che ha approvato Pfizer, Moderna, AstraZeneca e Johnson&Johnson, che ha valutato i documenti di Pfizer per ottenere l’autorizzazione a vaccinare anche i bambini e che ha valutato gli indici di rischio in base ai quali mettere in commercio un vaccino.
Il fatto che la Cooke sia irlandese non è casuale: l’Irlanda è un “Paradiso fiscale e societario” per l’industria farmaceutica a partire dagli anni ’90. L’85% delle principali aziende del settore ha sedi operative e stabilimenti di produzione in Irlanda. La parte del leone la fa la Pfizer, che ha diverse sedi, una delle quali in un paese vicino a Cork noto anche come “Viagra Town”. Dal 1992 al 1998 la Cooke ha lavorato per la Federazione europea delle industrie e associazioni farmaceutiche (EFPIA) come Responsabile degli affari scientifici. L’EFPIA è la lobby dei Big Pharma. Il lavoro della Cooke consisteva nel promuovere gli interessi dei Big 30 della farmaceutica europea: tra i suoi clienti c’erano Pfizer, AstraZeneca, Novartis, Johnson&Johnson.
Nel 1998 è diventata Amministratrice principale nell’unità farmaceutica della Commissione Europea, responsabile per le ispezioni, le attività internazionali e le iniziative legislative. Nel 2002 approda all’EMA, ricoprendo varie posizioni, compresa quella di Responsabile delle Ispezioni e degli Affari internazionali.
Nel 2016 passa all’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’OMS di Ginevra, fino al novembre del 2020, quando viene posta alla guida dell’EMA.
Formalmente non c’è un aperto conflitto d’interessi col suo Curriculum, anche se alla guida dell’agenzia c’è una persona che per molti anni ha lavorato per promuovere, negare o approvare la validità di alcuni farmaci che le industrie propongono. Per il 2021, il budget totale dell’EMA ammontava a 385,9 milioni di euro. Circa l’86% del bilancio dell’aAgenzia deriva da diritti e oneri a carico delle case farmaceutiche, il 14% dal contributo UE.
Un problema ancora più delicato sulle influenze straniere riguarda gli uffici di rappresentanza, le cosiddette “Ambasciate presso l’UE”, che i paesi non solo extracomunitari hanno a Bruxelles: formalmente per mantenere i rapporti diplomatici con le istituzioni, ma di fatto per fare lobbisti anche sugli europarlamentari. Il confine fra diplomazia e influenza è sottilissimo e a volte non così chiaro da teacciare: due anni fa la Ong Corporate Europe pubblicò un lungo rapporto sugli sforzi delle lobby degli Emirati Arabi Uniti nelle istituzioni europee, simili a quelli del Qatar. Sarebbero stati portati avanti non dell’ambasciata, ma tramite alcuni “Think Tank” e un gruppo informale di “Amici degli Emirati Arabi Uniti” di parlamentari europei.
Un potere di condizionamento enorme, spesso non trasparente, quello dei lobbisti, che trova terreno di coltura proprio nell’eseguità del numero dei rappresentanti, la scomparsa dei “Corpi intermedi”, la mancanza di una efficace normativa europea sui conflitti d’interesse e nell’impossibilità dei cittadini di trovare spazi di democrazia diretta. Una democrazia oligarchica, azzoppata, dove i “poteri forti” attraverso il lobbismo sempre più esteso hanno solo bisogno di “sepolcri imbiancati” nei quali custodire esponenti politici, per far credere che si vive ancora liberi e nell’autodeterminazione.
Al popolo invece rimane la “piazza virtuale” dei Social Network, sfogatoio senza poteri concreti per incidere sulle scelte collettive.
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