Matteo Messina Denaro è stato arrestato dopo una lunga latitanza: benissimo. A trent’anni dall’arresto di Totò Riina, il capo dei capi, possiamo dire che è un buon modo di celebrare la ricorrenza. E fin qui le note positive. Ora, però, domandiamoci in quale Stato viviamo. Perché la lotta contro la mafia, che dovrebbe essere un nostro preciso dovere, il punto irrinunciabile di qualunque governo, il faro dell’azione politica e una bussola civile diffusa, purtroppo, lo sappiamo da tempo, non è al centro dell’agenda dei vari esecutivi. Con qualche nobile eccezione, ci mancherebbe altro, ma l’eccezione, come si dice, conferma la regola. Il problema è che in questo Paese abbiamo, da sempre, non pochi problemi a fare i conti con noi stessi, con la nostra storia, con la nostra memoria sbilenca, con i nostri limiti e con le nostre responsabilità. Ci manca uno spirito nazionale, ci manca una coscienza critica, ci manca la capacità di ragionare sui nostri errori e di riflettere sul nostro futuro e sull’avvenire delle nuove generazioni. Spiace dirlo, ma da Portella della Ginestra in poi non abbiamo mai davvero analizzato la zona grigia che caratterizza il nostro vivere civile, non abbiamo mai messo in discussione collusioni e rapporti indicibili, non ci siamo mai soffermati sui passaggi più oscuri che hanno caratterizzato gli ultimi ottant’anni, non ci siamo mai interrogati sulle ragioni dell’onnipotenza della criminalità organizzata, talvolta non abbiamo saputo proteggere chi ha scelto di combatterla sul serio, talvolta, diciamoci la verità, lo abbiamo sacrificato sull’altare di interessi inconfessabili. Non c’è dubbio che oggi si possa essere felici, che si debba guardare avanti con fiducia e ottimismo e che ci si debba augurare che qualcuno finalmente parli e riveli ciò che sa, compresi i nomi e i cognomi di personalità inimmaginabili che hanno concesso appoggi, sostegni e coperture. Non c’è dubbio che si debba tirare un sospiro di sollievo e ringraziare le forze dell’ordine per il coraggio dimostrato nel compiere un’operazione non meno delicata di quella di trent’anni fa. Terminati i brindisi, tuttavia, sarà bene seguire gli insegnamenti di Giovanni Falcone, a cominciare dall’indicazione di non perdere mai di vista i soldi per giungere ai covi dei boss e ai loro legami con il mondo politico, imprenditoriale e dei troppi ambienti sotterranei che da sempre minano la stabilità del nostro stare insieme, fiaccando la credibilità e l’immagine delle istituzioni agli occhi dei cittadini. Ci auguriamo, poi, che il mondo politico, e in particolare gli esponenti del governo, si tenga alla larga da toni trionfalistici, proclami altisonanti e autoesaltazioni perché la battaglia è ancora lunga e non ha alcun senso trasformare una splendida notizia per la collettività nell’ennesimo spunto per una campagna elettorale non richiesta, inutile e controproducente. Sarebbe una strumentalizzazione drammatica e speriamo, con tutto il cuore, che non cadano in questa tentazione. Un pensiero, infine, va a tutte le vittime della mafia, che oggi quanto meno hanno avuto se non giustizia, quel minimo risarcimento morale di cui non sanno che farsene, né loro né i loro familiari, ma che ha comunque una sua importanza. Scusate se non ci uniamo alle fanfare che vediamo suonare praticamente dappertutto, ma a noi interessa la sostanza, non la propaganda. E ancor più degli arresti illustri, ci rendono orgogliosi i bambini e le bambine che vanno a scuola, crescono, imparano, vivono nella legalità, amano e rispettano il prossimo e si impegnano ogni giorno per costruire una società migliore e più giusta. Peccato che di loro non se ne parli mai, che facciano notizia solo gli episodi eclatanti, le manette, gli applausi della popolazione, le dichiarazioni della classe dirigente, la finta concordia unanime che anima i momenti solenni e tutto il carrozzone dell’effimero che dura, per l’appunto, lo spazio di un giorno di gloria, per poi tornare a ignorare la zona grigia e a parlar d’altro. Siamo contenti, dunque, per l’arresto di un personaggio che tanto male ha arrecato alla comunità ma ci sforziamo anche di essere “giornalisti-giornalisti” e il nostro primo compito è quello di informare, ponendoci una domanda: in quale Stato vogliamo vivere? In quale Stato vogliamo che vivano le nostre figlie e i nostri figli? Cosa siamo disposti a fare per sconfiggere la mafia ogni giorno? Dalle risposte che sapremo dare a questi interrogativi passa il cammino che intraprenderemo, in un senso o nell’altro.