BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Odio le donne, gli omosessuali e i giornalisti, dunque sono. Allarmante rapporto di Vox

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E’ uscita la settima edizione della Mappa dell’Intolleranza, il progetto ideato da Vox – Osservatorio Italiano sui Diritti, in collaborazione con l’Università Statale di Milano, ’Università di Bari Aldo Moro, Sapienza – Università di Roma e IT’STIME dell’Università Cattolica di Milano. Le donne, sempre loro, sono il primo bersaglio dell’odio on line. Lo si evince con tutta evidenza dal settimo rapporto sul linguaggio d’odio che circola in rete, presentato  da GiULiA Giornaliste con una mappa dettagliata delle città in cui il fenomeno è più ampio.
Nel 2022 la rilevazione, che ha riguardato il periodo gennaio-ottobre, ha attraversato un periodo di forti turbolenze, segnate dalla guerra in Ucraina, dalla crisi energetica, dalle elezioni politiche, con un cambio di governo, e dall’inflazione: così anche quest’anno ansie, paure, difficoltà si sono affastellate nel vissuto quotidiano delle persone, contribuendo a creare un tessuto endemico di tensione e polarizzazione dei conflitti. Nel 2022 al primo posto nella classifica dei bersagli più colpiti svettano le donne (43,21%), seguite da persone con disabilità (33,95%), persone omosessuali (8,78%), migranti (7,33%), ebrei (6,58%) e islamici (0,15%). A fronte di un 2021, che vedeva una diversa distribuzione: donne (43,70%,), seguite da islamici (19,57%),persone con disabilità (16,43%), ebrei (7,60%), persone omosessuali (7,09%) e migranti (5,61%). Analizzando i dati dei singoli cluster, un altro elemento significativo che emerge è che, come accennato,in tutti i cluster la percentuale di tweet negativi è più alta rispetto alla percentuale di tweet positivi (disabili:98,8% negativi vs. 1,2% positivi; omosessuali: 94,1% negativi vs. 5,9% positivi; ebrei: 97,7% negativi vs.2,3% positivi; donne: 89,9% negativi vs. 10,1% positivi; islamici: 99,9% negativi vs. 0,1% positivi; xenofobia:79,2% negativi vs. 20,8% positivi.

La presentazione della sesta edizione della Mappa e del focus curato da GiULiA Giornaliste sulle donne e misoginia social l’anno scorso è coicisa con un caso che aveva destato scalpore, la molestia in diretta tv di una giornalista, Greta Beccaglia, palpeggiata da un tifoso mentre un collega in studio la invitava a non prendersela troppo. Un anno dopo e alla vigilia della presentazione della settima edizione della Mappa, quella vicenda si è simbolicamente chiusa in primo grado con una condanna del tifoso ad un anno e mezzo, un cospicuo risarcimento e la soddisfazione di Beccaglia per avere difeso la propria dignità nelle sedi opportune. Una ratifica anche giudiziaria che il sessismo nei confronti di una donna che sta svolgendo il suo lavoro è inaccettabile. Unita però all’amarezza espressa dalla giornalista per essere stata, in tutto questo anno, continuamente bersaglio di hate speech online e di minacce, riassumibili nell’accusa, secondo lo stereotipo più vecchio del mondo, di essersela andata a cercare e di aver rovinato al vita ad un povero cristo. Sempre viva e vegeta quindi la prassi per cui la donna nello spazio pubblico rischia sempre lo stigma, anche se sta facendo semplicemente il suo lavoro e pure se è vittima.
“La rete e i social network si dimostrano ancora e sempre una potente arma di diffusione dell’odio, di polarizzazione e radicalizzazione del confronto, veicolo di contenuti misogini e sessisti e non risparmiano chi fa informazione, anzi. – si legge nel rapporto – Non sorprende quindi che nel focus che anche quest’anno abbiamo curato con Vox- Osservatorio sui diritti, centrato sul monitoraggio di 46 profili di giornalisti (23 uomini e 23 donne) e sull’analisi degli account Twitter di 12 testate, catalizzatore di menzioni con il sentiment negativo ci sia una giornalista, Selvaggia Lucarelli, che distacca in numeri assoluti tutti gli altri. Se poi si dividono le classifiche tra uomini e donne, complessivamente i profili degli uomini raccolgono il 77% di menzioni negative ma le donne un po’ di più, l’82%. Vale la pena citare, per farsi un quadro generale anche nel mondo analogico, il report 2022 del Viminale sulle minacce ai giornalisti, che ha visto quest’anno un calo sensibile di episodi, più che dimezzati, ma la percentuale di donne bersaglio è invece aumentata passando dal 19 al 28% dei casi.Il dato allarmante, come del resto emerge complessivamente dal monitoraggio della Mappa in tutti i cluster, è l’aumento esponenziale della quantità di odio circolante sulla Rete: giornalisti e giornaliste insieme raccolgono il 78,42 % di menzioni negative. Una crescita impressionante rispetto al 57% del precedente monitoraggio confrontabile, quello del 2020. E dire che allora eravamo nell’anno horribilis della pandemia. Ora pandemia, guerra, crisi energetica sembrano aver creato un mix micidiale nel sentiment che percorre la rete e anche i profili di chi fa informazione professionale,dimostrata ancora di più nel dato delle testate, dove la percentuale di citazioni negative si attesta all’87%. Insomma nello spazio pubblico di Twitter, prima ancora che arrivasse Elon Musk a mandare all’aria protocolli e codici di condotta e a bannare giornalisti, l’informazione, probabilmente in parte anche responsabile di una comunicazione radicalizzata, funge sempre di più da catalizzatore dell’odio digitale. Questo non colpisce solo anchormen o anchorwomen, o star delle reti sociali, a volte considerati provocatori, ma anche chi semplicemente fa il proprio lavoro sul campo, come la giornalista di RaiNews, Angela Caponnetto, in testa alle classifiche per percentuali di menzioni negative tra le donne (91%), da sempre sotto attacco per il suo lavoro di informazione sugli sbarchi dei migranti. Per affrontare l’odio della rete, inteso come vero fenomeno culturale pur se tutto in negativo, la prima risposta è quella della conoscenza: “rendersi conto” (per esempio del danno reale che si compie, pur su un terreno che appare del tutto virtuale) è in molti casi uno strumento per fermare parolacce e insulti. Di questo tema ormai si occupano le Università, ci sono corsi, ci sono incontri, ci sono articoli di giornale. C’è stato un appuntamento importante come la Commissione Segre al Senato,che ha affrontato il tema a vasto raggio, accogliendo anche le riflessioni di GiULiA in merito ai danni
provocati a chi fa informazione, e soprattutto alle giornaliste”.


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