“Sono una partigiana della memoria, non militante, non mi piace la radice della parola “militare”, preferisco definirmi “partigiana” perché ho preso parte, e perché dell’insistenza sul ricordo ho dedicato la vita”, così Vera Vigevani Jarach svolge un percorso della memoria, che attraversa due secoli: da ebrea in fuga dall’Italia per l’Argentina dopo l’entrata in vigore delle leggi razziali, alla dittatura e dalla morte della figlia “desaparecida” per mano del regime. È il 25 giugno 1976, sono passati pochi mesi dal colpo di stato del 24 marzo, “i militari portano via mia figlia, la conducono nella scuola della Marina militare argentina, uno spazio enorme che è servito per la reclusione, la tortura e gli omicidi degli oppositori del regime”, così Vera Vigevani inizia la sua testimonianza davanti agli studenti delle scuole superiori Orazio, Plauto e Ripetta di Roma e ai giornalisti . Vera Vigevani indossa un fazzoletto bianco, è un simbolo di riconoscimento, racconta, “quando camminavamo per le strade di Buenos Aires e chiedevamo verità per sapere cosa fosse successo ai nostri figli, venivamo fermate ma non potevamo riunirci in piazza; anzi, un giorno, partimmo proprio dall’ordine di un poliziotto – circolare, circolare – per iniziare a camminare mano nella mano con le altre mamme dei dispersi e per chiedere giustizia:”.
Nacquero così le mamme di Plaza de Majo: “non siamo state eroine, veniva dalle nostre viscere”.
Sul ruolo della testimonianza interviene Manuela Vinay, Responsabile dell’Otto per Mille della Tavola Valdese “l’invito di Vera a cercare il bene, a farlo e soprattutto a condividerlo, a diffonderlo e a fare comunità, è proprio quello che ci proponiamo di realizzare: trasformare ciò che riceviamo come opportunità per le persone, consapevoli che di indifferenza e silenzio si muore”.
Proprio sull’indifferenza interviene Milena Santerini, Professoressa di Pedagogia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, “in una fase storica che registra un incremento significativo dell’hate spech line di matrice anti-semita”, si corre il rischio di una “retorica della memoria”, una sorta di stanchezza nei confronti del ricordo della Shoah, avvertita come distante e con sempre meno voci di testimoni. Ci dovremo porre la questione di cosa accadrà un domani, quando alcuni dei crimini peggiori dell’umanità non avranno più la voce dei testimoni. non ci saranno più i testimoni dei crimini peggiori dell’umanità non potranno più raccontare. e che ci pone domande su cosa accadrà dopo la scomparsa dei testimoni. Sulla necessità di non dimenticare i crimini contro l’umanità, Arturo Salerni, avvocato e Presidente dell’“Associazione Nuovi Desaparecidos”, ribadisce la continuità con l’attualità: “ogni anno abbiamo migliaia di desaparecidos, migliaia di persone che muoiono in mare, cercano un esilio e un asilo, con un sistema normativo che rende difficile arrivare in Europea e li costringe ad affrontare il mare e non arrivare”. Il lavoro dell’informazione rispetto alla memoria dovrebbe essere proprio questo, afferma Valerio Cataldi, Presidente dell’Associazione Carta di Roma, dare voce a chi vive o ha vissuto discriminazioni e a chi attende ancora giustizia per i crimini subiti ne sottolinea l’importanza”.
“Perdonarli?” – risponde Vera alla domanda di una studentessa – “No, io non li perdono, loro non mi hanno mai chiesto perdono, anzi rivendicano ciò che hanno commesso. Solo quando ci sarà giustizia li potrò perdonare”.
Vera Vigevani è a Roma, e a Milano nei prossimi giorni in occasione della giornata della Memoria per un commiato, un saluto agli amici e ai compagni di una vita. È anche un’occasione ribadire la richiesta avanzata dalle Madri e delle Nonne di Plaza de Mayo di inserire la Esma – il centro di detenzione e di tortura – tra i luoghi candidati a essere riconosciuti come patrimonio culturale dell’umanità dell’Unesco.
(Foto gentilmente concessa da Carta di Roma)