Mercoledì 18 gennaio si disputerà la Supercoppa italiana, il confronto tra la squadra che ha vinto il campionato e quella che ha vinto la coppa Italia. Sarà un derby, Milan-Inter, e la cosa più ovvia sarebbe che si giocasse a Milano.
Invece, saranno almeno altri 90 minuti di sportwashing. La partita si disputerà in Arabia Saudita e sarà la terza volta che il calcio italiano si trasferirà nel regno di Mohamed bin Salman, l’uomo che ha sulle spalle la responsabilità dell’omicidio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, della rovinosa avventura militare contro lo Yemen che ha causato la più grave crisi umanitaria contemporanea e della morsa sempre più stretta nei confronti del dissenso.
Solo pochi giorni fa abbiamo appreso che uno dei più antichi critici di bin Salman, il docente universitario Awad al-Qarni, rischia la pena di morte per aver espresso le sue opinioni su Twitter. E solo pochi giorni fa sono trascorsi due anni dall’arresto dell’attivista Salma al-Shebab, che lo scorso agosto è stata condannata a 34 anni di carcere, seguiti da altrettanti anni di divieto di viaggio all’estero, sempre per aver espresso le sue opinioni sui social media. Per non parlare delle circa 150 condanne a morte eseguite nel 2022.
Tutto questo non pare interessare al governo globale del calcio e neanche a quello italiano. L’uno e l’altro hanno bisogno di soldi e i soldi (insieme agli idrocarburi) stanno in quella zona del mondo: il golfo Persico.
I mondiali del Qatar, appena terminati e giudicati dal presidente della Fifa Infantino i migliori di sempre (e pazienza per i 6500 lavoratori migranti morti per renderli possibili), hanno normalizzato il futuro. Tanto che sui mondiali del 2030 c’è una preoccupante candidatura: ovviamente, quella dell’Arabia Saudita.
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