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Iran: i giornalisti sotto tiro. Oltre 80 arrestati negli ultimi 4 mesi

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L’arresto dei giornalisti nella Repubblica Islamica continua. Da meta‘ settembre, quando sono iniziate le proteste in seguito all’assassino di Mahsa Jina Amini, la ragazza curda arrestata a Teheran per non indossare correttamente l’hijab obbligatorio imposto alle donne iraniane con la vittoria della rivoluzione islamica nel 1979, sono state arrestate fino al 15 gennaio 88 giornalisti e fotografi, 40 dei quali rilasciati dietro cauzione.

La prima ad essere arrestata è stata Niloufar Hamedi, la giornalista che pubblico per prima la notizia della morte di Mahsa Jina Amini, dopo essere entrata in coma mentre era in custodia della polizia. Subito dopo di lei è stata arrestata Elahe Mohammadi dopo una intervista al padre di Mahsa Jina Amini durante la cerimonia della sepoltura della giovane ragazza curda nel cimitero di Sagghez, nel Kurdistan iraniano. Anche l’ultimo giornalista arrestata in Iran lo scorso 11 gennaio, è una donna. Si chiama Nasim Soltanbeighi ed è stata fermata all’aeroporto di Teheran mentre era in procinto di lasciare il paese legalmente, e trasferita immediatamente in carcere. In questo momento 24 giornaliste e fotografe si trovano in Iran in carcere.

Secondo il Committee to Protect Journalists  in questo momento la Repubblica Islamica è la più grande prigione di giornalisti, seguito dalla Cina, Myanmar,Turchia e Bielorussia. Alcune delle giornaliste donne, secondo quanto raccontano le detenute della prigione femminile di Gha rchak, nella provincia di Teheran, sono molestate regolarmente e minacciate di stupro.

Nazila Maaroufian, Un’altra giornalista arrestata in seguito ad una intervista con Amjad Amini, padre di Mahsa Jina, ha avuto un collasso in carcere ed ha perso i sensi. Malgrado le sue preoccupanti condizioni fisiche non è stata ricoverata in ospedale e riportata subito in cella.

Alcuni dei giornalisti arrestati sono stati gia‘ condannati in processi farsa, senza presenza dei loro avvocati di fiducia, a pene pesantissime. Il giornalista sportivo Ehsan Pirbornash, arrestato durante le proteste, è stato condannato a 18 anni di reclusioe con l’accusa di “offesa alla religione”, “propaganda anti regime” e “invito alla ribellione”. Behnaz Mirmotaharian, anche lei giornalisti e moglie di Pirbornash teme per la vita del marito e aggiunge che il medico del carcere di Ghaemshahr, dove è detenuto, ha chiesto il suo ricovero in ospedale. Richiesta respinta dalle autorita‘ giudiziaria.

Un altro giornalista e attivista politico, Heshmatollah Tabrzadi, è sotto processo ad Isfahan, e rischia la pena di morte. Il suo avvocato, Mohammad Moghimi, ha dichiarato che Tabarzadi è stato accusato di moharebeh (inimicizia contro Dio) e efsad fil arz (corruzione sulla terra), reati che nella Repubblica Islamica sono puniti con la pena capitale.

Ovviamente la Repubblica Islamica nega che questi giornalisti siano stati arrestati per la loro attività  professionale. “Nessun giornalista è stato arrestato o si trova in carcere per le sue attività professionali”, ha ribadito nei giorni scorsi Iman Shamsaie, direttore generale per la stampa del Ministero di Cultura e Guida Islamica. Non sono dello stesso parere i giornalisti, visto che spesso anche i loro avvocati vengono arrestati, come nel caso di Mohammad Ali Kamfirouzi che aveva assunto la difesa di Elahe Mohammadi e Niloufar Hamedi.

Una collega a Elahe Mohammadi che ha accettato di parlare con Articolo21 a condizione di anonimato, afferma che “mai negli ultimi anni i giornalisti erano cosi sotto pressione e mai abbiamo visto arrestare un numero tanto alto di nostri colleghi per una intervista o un articolo critico nei confronti del regime”. “La pressioni non si limitato solo agli arresti, continua la giornalista, ogni giorno riceviamo minacce al punto che un nostro collega Mohsen Jaafari Rad, dopo essere stato arrestato e poi rilasciato, per le minacce ricevute si è suicidato”. “Personalmente, aggiunge questa collega, ho ricevuto più telefonate anonime dove non solo io ma anche la mia famiglia veniva minacciata. Minacce che mi hanno costretta prima ad vera e propria autocensura e in seguito addirittura di prendere un periodo di vacanze senza stipendio”.


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