Genova. Manganellare un cronista mentre fa il suo lavoro in piazza e “dentro” ai fatti, “scambiandolo” per un manifestante (quindi è lecito pestare i manifestanti?) non è cosa da Tribunale ma da giudice di pace. Per cui solo una multa per il pestaggio del collega Stefano Origone, giornalista de la Repubblica di Genova. Lo hanno stabilito i giudici della Corte di Appello di Genova che trasforma come osservano Tommaso Fregatti e Fabio Azzolini (presidente del Gruppo Cronisti Liguri e segretario dell’Associazione Ligure Giornalisti-Fnsi) “i (già simbolici) quaranta giorni di reclusione comminati in primo grado in una sanzione pecuniaria da 2582 euro per ciascun poliziotto”. I quattro agenti che il pomeriggio del 23 maggio del 2019 presero a manganellate Stefano. Una sentenza che, in attesa delle motivazioni, lascia perplessi e stupisce. Anzi inquieta ancora di più dopo quanto emerso in primo grado quando sindacato, cronisti e ordine vennero esclusi dal processo. In sostanza ed in estrema sintesi, Origone se l’era “cercata”. Troppo “vicino” ai fatti (reato grave per un cronista…) tanto da essere scambiato per un manifestante. Ovvero se fosse stato riconosciuto come giornalista (ma Stefano aveva urlato sono un giornalista) forse non lo avrebbero “menato”.
Cosa ancora più grave perché un qualsiasi cittadino manifestante, inerme, a terra e nella “disponibilità” degli agenti (come era Stefano con altri manifestanti fermati) allora avrebbe potuto, può essere pestato come Origone che tre anni fa riportò la frattura delle dita, shock con un’inabilità permanente a una mano.
“Sentenza che stupisce e inquieta allo stesso tempo – aggiungono Fregatti e Azzolini – oltre ad esprimere la massima solidarietà possibile a Stefano abbiamo forte perplessità per questa decisione dei giudici di secondo grado, seppure in attesa delle motivazioni della sentenza. Perché il reato che è stato riconosciuto – eccesso colposo legittimo dell’uso managnelli – non interpreta quello che è realmente successo in piazza”. Perché Stefano era in servizio per il suo giornale “La Repubblica”, stava raccontando una protesta di piazza di Genova antifascista, Anpi, Cgil e altre associazioni contro un comizio dell’estrema destra in piazza Corvetto promosso da Forza Nuova e contro il quale nei giorni precedenti erano state più voci e associazioni a chiedere la revoca dell’autorizzazione ai neofascisti in piazza in un città come Genova. La tensione quel giorno era altissima e finì con violenti scontri con polizia e carabinieri con il lancio di decine di lacrimogeni “Cs”, quelli banditi dalle convenzioni internazionali, gli stessi lanciati a migliaia nei giorni del G8 del 2001.
Le scuse “in tempo reale” del Questore dell’epoca non modificarono il giudizio dei rappresentanti dei giornalisti, Stefano da cronista si era ritrovato in un letto di ospedale, poi soccorso da un funzionario di polizia e da alcuni colleghi. E ancora oggi vive e subisce le conseguenze di quel pomeriggio. Il giudizio risarcitorio è al di là da venire ma non è nemmeno questo il punto, per quanto doveroso dovrà essere quantomeno un indennizzo da parte dello Stato. Stefano non è rimasto solo dopo quel pomeriggio ma nel processo ha pesato l’assenza del “suo” giornale, la Repubblica non costituitasi in giudizio dopo avere tenuto per alcuni giorni in prima pagina la vicenda. E pensare che Stefano Origone non era un collaboratore o un precario di quelli ipersfruttati o poi licenziati dal gruppo Gedi perché fanno causa. Un’assenza e un silenzio molto “rumorosi”.
Il processo sarebbe andato diversamente? La controprova non l’abbiamo ma è indubbio che una presenza formale e sostanziale dell’editore in aula avrebbe avuto un significato molto chiaro rispetto a quel concetto che, tutto sommato a Origone non era stato impedito di fare il suo lavoro e se l’era cercata essendo troppo vicino ai fatti, tanto vicino da essere scambiato per un manifestante…
Come sempre le motivazioni chiariranno il ragionamento fatto dai giudici e l’interpretazione di nuove norme e riforme. Certo è che a Genova, 22 anni dopo il G8 viene scritta un’altra pagina pesante sul ruolo dei media e dei giornalisti certamente non infallibili ma con la schiena dritta. E poco importa se sono nomi meno famosi per i quali un editore non si scomoda a schierarsi al loro fianco in un’aula di tribunale.
Ma la sentenza di ieri, osservano con amara ironia Azzolini e Fregatti porta una …notizia: “con la sentenza di oggi siamo venuti a conoscenza del fatto che per il tribunale di Genova essere presi a manganellate in piazza non è un fatto di competenza della magistratura ordinaria ma del giudice di pace. Manganellare un giornalista indifeso, anzi, inerme e a terra resta – venti anni dopo il G8 – una ferita che quanto stabilito in sede processuale non ha rimarginato”.
Attenzione quindi a fare cronaca e giornalismo di testimonianza: querele temerarie, denunce e anche condanne, manganellate. Gli editori parlano, parlano ma in aula non vanno. Sindacato, ordine, cronisti, Articolo 21 ci sono e ci saranno sempre anche se per gli editori non vale la pena di scomodarsi. Una riflessione su una scelta, quella della proprietà e direzione de la Repubblica, che va fatta: non basta titolare in prima pagina per qualche giorno “manganellato un nostro cronista” e poi lasciare andare. No, non si può proprio.