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Garante dei detenuti: trasferire Alfredo Cospito in una struttura sanitaria

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Finalmente il Garante nazionale dei detenuti ha chiesto il trasferimento dell’anarchico Alfredo Cospito ” in una struttura – si legge nel comunicato stampa diramato oggi pomeriggio – in grado di garantire un immediato intervento di carattere sanitario in caso di situazioni di acuzie”.
Intendiamoci: Alfredo Cospito non è un santo e non abbiamo mai pensato di difenderlo in maniera acritica. Ha sbagliato, ha commesso dei reati e ne prendiamo atto. Il punto è un altro: cosa siamo diventati? Premesso che sono contrario all’ergastolo, considerandolo una pena di morte differita, e che avverso anche il 41 bis e tutte le leggi speciali, perché sono norme che riecheggiano il fascismo e testimoniano unicamente la debolezza e la fragilità dello Stato di fronte alle sfide eversive che pure ha subito e continua a subire, mi domando dove stia andando questo nostro Paese in cui la giustizia sembra essersi trasformata in vendetta. Lo Stato può anche punire, infatti, ma non concepisce la vendetta, altrimenti sarebbe indistinguibile dai fenomeni criminali che tanti suoi servitori hanno cercato e continuano a cercare di stroncare. Davvero non riesco a capire cosa stia accadendo intorno alla tragedia di quest’uomo, che si sta lasciando morire per protestare contro un regime carcerario disumano e che a suo dire, e non a torto, costituisce una “tomba per vivi”.

C’è una nazione in cui degli attivisti sono stati incarcerati ingiustamente e si sono lasciati morire di fame dopo centinaia di giorni di digiuno disperato: è la Turchia di Erdoğan. Ma noi, ribadisco, cosa siamo diventati? Dov’è finito Cesare Beccaria? Oggi è solo la targa apposta sopra un carcere minorile o è ancora il fondamento del nostro pensiero giuridico? Dov’è l’articolo 27 della Costituzione? Dov’è l’umanità? Dov’è quel valore supremo chiamato, per l’appunto, giustizia che tiene insieme Antigone e le leggi degli esseri umani? Me lo chiedo ancora una volta: cosa siamo diventati? Siamo ancora lo Stato dei ministri che si presentano quasi in veste di questurini per andare ad accogliere all’aeroporto Cesare Battisti e godere dell’incarcerazione di un uomo e della sua condanna all’ergastolo ostativo, sdoganando di fatto la pubblica gogna? Siamo improvvisamente diventati uno Stato di Polizia? Abbiamo sancito che l’umiliazione è un elemento positivo da introdurre nel nostro vivere quotidiano? Cosa siamo diventati? Me lo domando con sgomento al cospetto di un uomo ormai ridotto a una larva, a uno scheletro che chiede pietà, a una persona che può essere la più storta e sbagliata del mondo ma in una democrazia occidentale, in uno Stato pienamente civile, ha comunque diritto a ricevere gentilezza e ascolto. Scrivo tutto questo perché io nello Stato voglio crederci ancora, proprio come voglio credere nelle istituzioni, e voglio che siano forti, autorevoli e rispettate. Pur non avendo in alcuna antipatia gli anarchici, non sono mai stato uno di loro, in quanto credo che un sistema di regole giusto e rispettato da chiunque possa aiutarci a vivere meglio. Ma le regole non possono essere applicate con furia disumana, con freddezza, senza tenere conto del contesto, con robotica cattiveria, con indifferenza. Fra lo Stato e la persona, per me, viene prima la persona. Fra Antigone e Creonte, scelgo sempre e comunque Antigone. Perché ancor peggio della mancanza di giustizia, c’è la giustizia ingiusta. A insegnarmelo sono stati proprio alcuni magistrati, uomini e donne straordinarie che hanno sempre anteposto la forza del diritto al diritto della forza, che hanno saputo scrutare nell’animo dei ragazzi e delle ragazze che si sono trovati a interrogare, che hanno rispettato anche i colpevoli, che hanno giudicato ma senza mai puntare il dito, che hanno nobilitato lo Stato e i suoi principî costitutivi ripudiando la logica della faida e che hanno saputo restituire un minimo di credibilità a un’Italia che, senza di loro, si sarebbe dovuta vergognare in eterno di se stessa. Eppure, di fronte ad Alfredo Cospito che rischia la vita per opporsi, con le ultime forze che gli sono rimaste, a un supplizio che nessuno merita, mi domando, con cognizione di causa, se questo è un uomo. E mi domando se una democrazia possa ancora dirsi tale quando adotta implicitamente la logica del lager, quando condanna e basta, quando decide che un essre umano deve marcire in galera e non rivedere più la luce del sole, se non durante l’ora d’aria. Se anche si trattasse del peggiore dei boia, del più irriducibile dei mafiosi, del più spregevole dei criminali e dell’essere più abietto mai apparso sulla faccia della Terra, e non mi sembra il caso, uno Stato di diritto non può comportarsi così.

Cospito ha idee che non condivido e ha compiuto azioni che condanno fermamente, ma se uno Stato non è in grado di mantenere il sangue freddo e di scongiurare l’abisso, mi spiace dirlo, ma viene meno la sua funzione. E noi di uno Stato ne abbiamo, invece, un gran bisogno. Oltretutto, qualora Cospito dovesse morire, il rischio di rivolte nelle carceri sarebbe piuttosto alto. E, soprattutto, non potremmo più alzare la voce al cospetto degli orrori che avvengono in Egitto, in Turchia, in Iran e in tutte quelle realtà in cui i dissidenti lasciati morire di stenti in una cella sono all’ordine del giorno. Se Cospito muore, lo Stato ha perso: sia di fronte alla legge degli esseri umani sia, per chi ci crede, di fronte a quella divina. E, quel che è peggio, avremmo smarrito noi stessi. Temo per sempre.

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