Fratelli d’Italia: le mani sugli anni di piombo

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La proposta di una commissione di inchiesta sulla violenza politica degli anni ‘70 e ‘80 — arrivata in Parlamento su iniziativa di FdI — si scontra con il muro alzato da Bologna dai parenti delle vittime del 2 agosto e dal Pd. Il timore è che vengano messi in discussione, ancora una volta, gli esiti processuali e la matrice neofascista della Strage di Bologna. «Le verità giudiziarie in un paese democratico si scrivono nei tribunali e attraverso le sentenze», scrive il sindaco Matteo Lepore, mentre il presidente dell’associazione dei parenti del 2 Agosto Paolo Bolognesi vede all’orizzonte «l’ennesimo tentativo di sabotare le acquisizioni giudiziarie che si sono fatte in questi anni». Timori a cui risponde il presidente della Regione Stefano Bonaccini: «Mi darò da fare perché quelle preoccupazioni vengano fugate».

La commissione d’inchiesta sugli anni di piombo, proposta dal vicepresidente della Camera Fabio Rampelli (Fratelli d’Italia) insieme a un gruppo di deputati, è una storica battaglia dei meloniani, che stavolta però potrebbe trovare in Parlamento i numeri per avanzare. E soprattutto, sospettano i familiari del 2 Agosto, potrebbe riaprire il dibattito attorno alle piste alternative — da anni caldeggiate da destra — sulle responsabilità dell’attentato che fece 85 morti e oltre 200 feriti. La Strage di Bologna, sottolinea il presidente dei familiari delle vittime, «ha visto sentenze passate in giudicato sugli esecutori, sulla banda armata e sui depistaggi ed è approdata ad una sentenza di primo grado sui mandanti. Non vorrei che questa commissione — dice Bolognesi — servisse per ammorbidire certe situazioni e fare in modo che le acquisizioni giudiziarie già acquisite fossero o messe in discussione, o attenuate nella loro portata politica». Le verità giudiziarie sul 2 Agosto, gli fa eco il sindaco di Bologna, «sono note da tempo. Anzi — sottolinea Lepore — siamo alle prese proprio con le motivazioni dell’ultimo processo attorno ai mandanti e in attesa di nuovi processi dedicati a chi collaborò a organizzare, sostenere, eseguire l’attentato terroristico più sanguinoso della storia italiana». Preoccupato dall’iniziativa di Rampelli, il primo cittadino chiede ai parlamentari di stopparla: «Dopo 42 anni di morte, sofferenze, depistaggi e fragorosi silenzi, commissioni stragi lunghe decenni e sentenze chiare, le vittime tanto quanto i loro familiari non si meritano che la politica cerchi nuovamente di entrare in un campo che non le compete».

A sostenere la battaglia di Lepore si unisce la segretaria del Pd di Bologna, Federica Mazzoni, per cui la proposta di FdI «mostra l’intenzione di mettere in discussione, instillare dubbi e sospetti rispetto a verità acclarate». «Da Bologna non lo permetteremo — aggiunge Mazzoni — e staremo sempre al fianco dei familiari delle vittime, dei loro avvocati e della Procura generale». Un muro a cui si uniscono i deputati bolognesi del Pd Andrea De Maria e Virginio Merola. «Fratelli d’ Italia non pensi di riscrivere la storia degli anni tragici della strategia della tensione e del terrorismo», scrivono l’ex sindaco e l’ex segretario del Pd di Bologna. Ci sono sentenze e processi in corso, ricordano De Maria e Merola: «Contrasteremo qualsiasi tentativo di ostacolare la ricerca della piena verità sugli intrecci fra apparati deviati dello Stato e terrorismo neofascista».

Da Bologna rivendica l’azione dei meloniani in Parlamento il capogruppo di FdI, Stefano Cavedagna. Per cui l’appello a ostacolare la commissione d’inchiesta lanciato dal sindaco «è incomprensibile, oltre che fuori luogo. Se Lepore intende intervenire su questioni di competenza parlamentare — conclude Cavedagna — può dimettersi dalla carica di sindaco e candidarsi».


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