Un libro bello, intrigante, imperdibile: per chi ama il circo e forse, ancora di più, per chi non lo ama e magari può accostarvisi e iniziare a comprenderne la storia, le dinamiche e il senso; per chi è esperto/a dell’arte circense e di quanto ha prodotto creativamente anche in altri ambiti e per chi, invece, ne partecipa solo con passione istintiva. Si tratta, edito da Iacobelli a fine 2022, dell’interessante saggio di Maria Vittoria Vittori La rivoluzione in pista, il cui sottotitolo “Storie di donne, circo e libertà” esprime da subito il taglio particolare, ma non unico, che l’autrice ha inteso dare al suo lavoro.
Molto attenta all’universo femminista, giornalista e critica letteraria ad ampio spettro, Vittori, che fa parte della Società Italiana delle Letterate, scrive tra l’altro sulla rivista Circo e ha già pubblicato qualche saggio sul mondo circense, di cui è esperta e appassionata. Ma in questo volume è rilevante come, mettendo a frutto le sue molteplici competenze, riesca a creare un vasto e poliedrico affresco dell’universo circense e come, spaziando liberamente da fine Ottocento alla nostra contemporaneità, esplori e regali a chi legge percorsi poco battuti non solo della vita reale del circo, ma anche di ambiti sociali o addirittura politici in cui in vari luoghi del mondo l’arte circense è maturata, e di vari contesti culturali – letterari, pittorici, cinematografici – che di questa realtà hanno fatto materia di rivisitazione e racconto.
La libertà che l’autrice si prende muovendosi con disinvoltura in uno spazio di intersezioni molteplici non manca, tuttavia, di una logica di sottofondo, spesso reiterata in situazioni e contesti diversi: i leitmotiv ricorrenti sono l’ampio spazio di libertà sociale, interiore e creativa che il circo consente a chi si trova a farne la propria scelta di vita, coniugati al tempo stesso a una disciplina e a un esercizio fisico costanti e ferrei – la libertà, in pratica, si gioca nell’impegno metodico – e l’accoglienza che questo universo aperto e non giudicante rivolge a chi è eccentrico o emarginato dal pregiudizio e dal canone socio-culturale imperante.
Le sette monografie che compongono il libro sono dedicate a personaggi e personagge reali e ad altri e altre di fantasia, in una fertile e agile mescolanza di vita e letteratura. Così se Moira Orfei, definita “Nostra Signora del circo”, chiude da grande icona universale l’effervescente sfilata delle storie, un’altra narrazione, non meno fervida, tratteggia la figura di Fevvers, la donna uccello della dirompente vena immaginativa di Angela Carter nel romanzo Notti al circo; e se in una delle storie più coinvolgenti entriamo nella vicenda di Aglaja Veteranyi, la tormentata acrobata che volle diventare scrittrice, in un’altra, dedicata con occhio insolito alla penna della Contessa Lara, seguiamo come se fossero reali le vicende di Leona che, dopo aver abbandonato il circo per un amore deludente e una futile vita galante, si riscatta tornando in pista e ritrovando nella sua arte di cavallerizza il suo fulcro interiore e la sua libertà; e in un’altra ancora percorriamo le orme dell’irresistibile Amanda Davis, vivace scrittrice americana fuori dal canone che, per sperimentare e approfondire quanto sta scrivendo nel romanzo Wonder When You’ll Miss Me (Mi chiedo quando ti mancherò), ambientato nell’universo circense, abbandona la solita vita per partire in tournée con il Blindestiff Cirkus nella primavera del 1999.
Non poteva mancare, naturalmente, la sovversiva maliziosa figura di Charlot, già di per sé felice sintesi tra invenzione e realtà, da sempre interiorizzata dal pubblico quale riflesso speculare del suo ideatore Charlie Chaplin: vale la pena, proprio nel momento in cui Raiplay sta dedicando un ciclo cinematografico all’immortale monello scaturito dal variegato solco della clownerie, seguire l’originale percorso che Vittori propone chiamando in causa Hannah Arendt, con il suo testo Il futuro alle spalle e il concetto, in esso tra l’altro dibattuto, di Charlot come personaggio emblematico della condizione di paria: “in questo piccolo ebreo abbandonato, pieno d’ingegno, che è sospetto a tutto il mondo, – scrive Arendt – si riconosce il piccolo, pover’uomo di tutti i paesi”.
C’è un’altra grande filosofa che a ragione Vittori fa entrare in campo, o meglio “in pista”, ed è María Zambrano nel saggio dedicato a “Poesia, circo e libertà nell’isola di Cuba”, dove la filosofa visse dal 1940 al 1953 in un clima di accoglienza e di riconoscimento, tanto da diventare personaggia ispiratrice, con il suo scritto La metafora del cuore (1944), del romanzo di Eliseo Alberto L’eternità finalmente comincia un lunedì: affresco-mondo che Vittori percorre per narrare e documentare, oltre alla vita del circo che resta fulcro della sua indagine, aspetti culturali e socio-politici dell’isola di Cuba prima del Castrismo che sono un prezioso resoconto su un’isola pre-sessantottina – quella in cui si stava compiendo una rivoluzione vera di pensiero e libertà – per i più ignota e desueta. È questa una delle monografie più sorprendenti e scintillanti che, oltre a presentarci le avventure picaresche di un circo immaginario chiamato Arena Cinque Stelle – aggregazione di spiriti ribelli e specchio paradossale e utopico di quanto sta avvenendo culturalmente negli anni tra il 1937 e il 1950 a Cuba – illumina la figura di questo straordinario scrittore che, attraverso l’immaginazione poetica, affronta le grandi questioni della libertà e della dignità dell’esistere in aperta opposizione al governo, divenuto ormai dittatoriale, di Fidel Castro, fino ad abbandonare l’amata isola nel 1990, due anni prima della pubblicazione della sua opera, per rifugiarsi in Messico fino alla morte.
Ma la storia che più colpisce e coinvolge dal punto di vista del pensiero femminista è quella relativa ad Aglaja Veteranyi, “l’acrobata che volle diventare scrittrice”, nata a Bucarest nel 1962 in una famiglia circense di origini rumene, in cui il padre, brutale e violento, era clown, e la madre, piuttosto anaffettiva e bellissima, acrobata e giocoliera che volteggiava audacemente, rischiando la vita ogni sera, appesa per i capelli. Aglaja, destinata a sua volta ad essere acrobata, angosciata fin dalla più tenera età dal rischio che la madre corre, rifiuterà la vita del circo, deciderà di diventare stanziale fermandosi in Svizzera dove, da autodidatta, imparerà il tedesco, abbandonerà l’esercizio fisico legato al corpo per impadronirsi, invece, di una dimensione più intellettuale e della vita delle parole. È in questo nuovo contesto che cerca di recidere il rapporto con il padre e il cordone ombelicale con la madre e che scrive il romanzo Perché il bambino cuoce nella polenta (1999), sorta di racconto autobiografico indiretto in cui scava nell’universo familiare e circense, tracciando la narrazione di una vita di rifiuto e, al tempo stesso, di ineludibile esilio. Perché il circo non perdona fughe e tradimenti, probabilmente, così come non è possibile liberarsi dall’ombra della madre senza risolvere il nodo di questo rapporto spesso conflittuale, o bannare la terra e la lingua delle origini. Donna inquieta e al tempo stesso lucida e dolorosamente consapevole, che potremmo ascrivere fra le tante eccentriche e luminose, e tuttavia “imperdonabili” messe a fuoco dalla filosofia della differenza sessuale, Aglaja muore suicida nel lago di Zurigo nel febbraio 2002, subito dopo l’uscita del suo secondo romanzo Lo scaffale degli ultimi respiri.
In definitiva un lavoro di indiscutibile valore, questo incastro saggistico di Maria Vittoria Vittori: corredato da un’ampia e preziosa bibliografia, molto ben congegnato e strutturato, proprio come il circo trascina chi legge in territori scintillanti e inconsueti, con un efficace vortice di contenuti e di stile. Anche l’autrice, in certo senso, si fa giocoliera e cavallerizza di non comuni saperi.