Il miraggio della cosiddetta autonomia differenziata deve aver dato alla testa al ministro Calderoli.
Mentre la narrazione prevalente ha sempre offerto (a torto, basti pensare agli epiteti contro Cecile Kyenge o l’Islam) un’immagine colorata di moderazione del dirigente leghista -uso peraltro a presiedere il senato quando ne è stato vicepresidente con sorvegliata misura- la cruda realtà del governo di destra ci racconta un’altra verità.
Il titolare del dicastero degli affari regionali ha superato i confini della decenza nonché della elementare correttezza istituzionale, attaccando le testate giornalistiche – Il Mattino e il Messaggero- che hanno osato criticare il testo sull’autonomia differenziata. Si tratta di un articolato lesivo dell’uguaglianza tra i cittadini sancita dalla Costituzione, oggetto di un’antica discussione non per caso mai risolta. Decine di associazioni si sono schierate contro un progetto pensato per tutelare il Nord, con la Lombardia che tra qualche settimana va al voto dopo una deficitaria gestione del presidente uscente Fontana.
L’offensiva, peggiorata dalla minaccia del ricorso alle querele, è un ulteriore capitolo di una tendenza che si viene affermando in questa stagione. Fare cronaca, disvelare disegni e arcani di chi esercita il potere non è più considerato il diritto fondamentale previsto dall’articolo 21 della Carta. Anzi. L’autonomia e l’indipendenza dell’informazione danno fastidio, perché la fragilità del discorso politico non permette obiezioni e neppure il normale esercizio della critica. Lo hanno sottolineato i comitati di redazione e la federazione nazionale della stampa.
Non si dica che quella di Calderoli è stata una reazione esagerata o un moto d’ira. No. L’uscita dal seminato della dialettica democratica è il sintomo, la traccia del tempo che viviamo. Che fa paura.