È una frase di Eduardo Galeano che ho letto sul finale di un film di Aldomovar che trattava dei crimini della dittatura franchisti.
Mi è rimasta impressa e l’ho subito associata alla storia di Giulio Regeni.
Una storia che in tanti hanno cercato di manipolare, distorcere, cancellare senza riuscirci. Giulio si è difeso con il suo corpo straziato, con la limpidezza della sua vita personale, dei suoi studi e delle sue azioni. La tenacia, l’irriducibile volontà dei suoi genitori e dell’Avvocato Alessandra Ballerini con un pool di inquirenti, hanno ricostruito un impensabile puzzle e permesso di individuare e rinviare a giudizio almeno quattro dei presunti responsabili del martirio del ricercatore: il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel e Usham Helmi e il maggiore Magdi Sharif.
Gli ufficiali della National Security egiziana però non sono comparsi in aula e finora non è stato possibile avviare il processo perché il paradosso di vivere in uno Stato di diritto che tutela anche i presunti colpevoli, comporta la possibilità di non poter avviare il processo se l’imputato è irreperibile.
Sono passati sette anni dal sequestro di Giulio e da quei nove orribili giorni e in tutta Italia il 25 gennaio le piazze torneranno a riempirsi per ribadire che Giulio non l’abbiamo dimenticato, che non permetteremo mai a nessuno di cancellare non solo la sua storia ma nemmeno di occultare la barbarie di un regime crudele. Abbiamo il dovere come cittadini, genitori, amministratori, giornalisti di ricordare che nulla di ciò che è accaduto a Giulio può essere considerato accettabile, sopportabile o catalogabile come “incidente di percorso”.
Le storie dei Giulio e le Giulia che in tutto il mondo sono vittime di sparizioni forzate, torture e omicidi di massa non posso rimanere mute ma devono urlare dalle nostre coscienze se vogliamo ancora considerarci persone civili.
Non lasciamo soli questi genitori, sosteniamoli, sosteniamoci.