L’imputato è stato condannato a ventisette anni di reclusione.
La richiesta del pm Giovanni Tarzia era ergastolo e 6 mesi di isolamento diurno per omicidio volontario aggravato e tentato omicidio.
Certo 27 anni di carcere non sono pochi e non ne farà sicuramente meno di 20 ma il punto è che questo uomo, leggendo le carte del processo, non ha ammesso nulla; ha aggredito per anni sia la figlia piccola che il primogenito di cui non accettava la sua transessualità. E, come emerge, nel 2010 è stato denunciato dalla moglie per due tentativi di omicidio.
Quindi, tra chi si straccia le vesti ogni volta che viene ammazzata una donna e chi in qualche modo deve decide, il cortocircuito è sempre a sfavore della vittima.
La domanda è: “Perché?”.
Torniamo alle carte del caso di Milano: all’assassino che ha appena ammazzato la moglie e tentato di fare altrettanto con uno dei suoi figli, sono state concesse le attenuanti generiche con una motivazione che pare più adeguata a contestare la premeditazione.
Due passaggi in particolare della sentenza colpiscono. Testualmente: “Dopo aver ucciso la moglie, aver aggredito A., stringendogli la cintura al collo, Rodriguez entra in uno stato confusionale, che attesta come avesse sì immaginato di uccidere la moglie e A. (il figlio ndr) ma poi, di fronte al misfatto, non ha verosimilmente la reazione che si attendeva da se stesso; resta confuso, colpito con la cintura dal figlio A., ubbidisce “all’ordine” di S. (la figlia)di chiudersi in bagno. Si auto-lesiona, probabilmente senza volontà suiciderai, ma perché fuori controllo”. Poi: “Il messaggio scritto il giorno precedente dalla moglie alla psicoterapeuta eloquente dello stato di frustrazione e sofferenza della donna, cui, verosimilmente, il marito pensa di porre fine con la pianificazione di quanto poi fatto la mattina del 19 giugno 2021”.