L’ ingiusta condanna di Osman Kavala è incompatibile con il rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto come ha chiaramente sentenziato la Corte europea dei diritti dell’uomo l’11 luglio condannando la Turchia per non aver dato seguito alla richiesta del 2019, da parte della stessa Corte, di scarcerare immediatamente colui che Amnesty International definisce un prigioniero di coscienza.
La conferma dell’ergastolo nei suoi confronti della Corte d’appello turca è l’ennesimo atto di ritorsione nei confronti di Kavala, un importante filantropo e attivista per i diritti umani e più ostico oppositore del presidente Recep Tayyip Erdogan.
Lo scorso aprile l’intellettuale turco era stato condannato all’ergastolo con l’accusa di “tentativo di rovesciare il governo” mentre altri sette imputati a 18 anni di carcere.
Il verdetto non è ancora definitivo perché la difesa può ancora impugnare il caso appellandosi alla Corte Suprema della Turchia.
Nonostante il pronunciamento della Corte europea per i diritti umani sul caso di Kavala, che chiedeva alla Turchia il suo immediato rilascio, la giustizia turca ha continuato ad avere un atteggiamento durissimo nei suoi confronti e gli altri imputati, tra cui esponenti della società civile, attivisti e intellettuali, già coinvolti nel processo sulle proteste di Gezi Park Ayşe Mücella Yapıcı, Çiğdem Mater Utku, Ali Hakan Altınay, Mine Özerden, Şerafettin Can Atalay, Tayfun Kahraman e Yiğit Ali Ekmekçi.
Sono per lo più rappresentanti di organizzazioni come l’Anadolu Kultur di Osman Kavala e piattaforme di cittadinanza attiva che durante le proteste di Gezi hanno promosso iniziative, come Taksim Solidarity.
«È tutto così terribile. Ero pessimista, ma non mi sarei mai aspettato un risultato così duro. È orribile per Kavala e gli altri imputati che sono stati condannati il 28 dicembre. Ed è estremamente preoccupante per la società civile turca e per le relazioni della Turchia con l’Europa» è stato il primo commento dell’Advocacy Turkey Group, rete di cui Articolo 21 fa parte da lungo tempo e con ha seguito i processi per terrorismo ai giornalisti turchi.
Con questa sentenza il presidente Recep Tayyip Erdogan ottiene la sua vendetta nei confronti di colui che ha sempre ritenuto l’avversario più scomodo e ostico. L’accanimento nei confronti di Kavala è parte di una diffusa repressione che si è intensificata dopo il tentativo di colpo di stato nel luglio del 2016.
L’accusa pendente da anni sull’importante oppositore del presidente turco è di «tentativo di rovesciare violentemente il governo». Imputazione per la quale – se confermata in Appello – dovrà scontare il carcere a vita senza condizionale.
Un processo farsa, come hanno denunciato le organizzazioni per i diritti umani che hanno seguito il caso, quello che si è concluso a Istanbul dopo due anni di continui rinvii.
Osman Kavala, collegato in videoconferenza, ha accolto il verdetto imperturbabile: sapeva che sarebbe stato condannato.
Nelle scorse settimane, con una dura dichiarazione rivolta alla Corte aveva denunciato che “fattori politici” hanno giocato un ruolo nella sua detenzione più che “motivi legali”.
Eppure i giudici lo hanno condannato senza esitazione.
Il caso Kavala, che ha coinvolto più di una dozzina di persone, tra cui vari giornalisti, è stato tra i più importanti delle repressioni del presidente Erdogan nei confronti dell’opposizione e della stampa indipendente. Continue violazioni di gran parte dei diritti del popolo turco, attuate dal governo e dal Partito per la giustizia e lo sviluppo, la formazione del presidente Recep Tayyip Erdogan.
Nonostante la revoca dello stato di emergenza nel luglio 2018, Ankara ha continuato ad arrestare decine di giornalisti e a imporre divieti di viaggio.
Migliaia di persone finite in carcere dal fallito golpe del 2016 con accuse mai provate.
Il finto stato di diritto in Turchia da tempo non garantisce più nessuno.