Nancy Porsia, giovane freelance di Matera, è stata per lungo tempo l’unica giornalista internazionale presente in Libia per narrarne il travagliato processo di democratizzazione dopo la morte di Gheddafi, conclusosi con la delusione dell’affermarsi dello stato islamico. Reporter di guerra ha viaggiato in luoghi di conflitto, schivando mine e bombardamenti, scrivendo i suoi reportage in rifugi di fortuna. Non fa apologia del suo lavoro – di cui è innamorata nonostante i pericoli e lo scarso guadagno: come free lance ha pubblicato su media internazionali molto importanti ma non si è mai spostata sotto protezione di una testata – e apre la sua testimonianza, nel documentario “Telling my Son’s Land” di Ilaria Jovine e Roberto Mariotti, facendoci sapere che gli inviati di guerra vengono definiti “avvoltoi” e che lei stessa è rimasta sconvolta quando un collega ha gioito alla ripresa delle ostilità perché poteva tornare a “girare”.
La mancanza di corrispondenti aveva fatto maturare in Nancy Porsia la convinzione che la Libia fosse un mercato interessante e si era trasferita a Tripoli. Il tema più richiesto era quello della migrazione e nel 2013, nel grande naufragio del 3 ottobre dove persero la vita molti profughi di guerra siriani, impegno civile e spinta professionale la condussero sulle tracce dei trafficanti di uomini. Nel corso degli anni fece prima un servizio sui “passatori”, coloro che aiutano gli stranieri senza documenti a superare la frontiera, smontando il cliché europeo che vuole trasferiscano le persone contro la loro volontà. Per arrivare in seguito ai veri criminali: i trafficanti. Dopo la pubblicazione di articoli in cui aveva individuato coloro che gestivano il traffico di esseri umani, divenne un bersaglio. A seguito di serie minacce e al rischio di essere rapita, in conseguenza della pubblicazione di una scottante inchiesta sulla collusione della Guardia Costiera Libica con il traffico di migranti, nel 2017 fu costretta a lasciare il paese mentre era incinta. Da allora non ha più avuto il visto per rientrare.
Tornata a Matera gravida insieme al suo compagno libico, un interprete che aveva incontrato durante le sue inchieste – nel documentario l’uomo per ragioni di sicurezza non si vede mai – Nancy mette al mondo un figlio bellissimo. Spera un giorno di riavere il visto per la Libia, soprattutto che possa essere visitata dal suo bambino che non ha mai potuto conoscere i nonni paterni. Spera presto di poter tornare al suo lavoro che, a prescindere dalla convinzioni personali, intende come servizio per le persone che soffrono. “Telling my son’s land” si chiude con una domanda che Nancy Porsia pone e che aleggia in sospeso: per quale motivo l’Italia e tutta l’Europa fanno accordi con personaggi che violano i diritti umani?
Dopo una stagione estiva ricca di proiezioni e presentazioni a festival e rassegne quali Salento International Film festival, Ventotene Film Festival, Lisboa Indie Film Festival, FeelMare, International Cilento Film Festival, Molise Cinema, il film sarà proiettato a Roma al Cinema Farnese Arthouse di Campo de’ Fiori. Lunedì’ 12 dicembre alle ore 19:30 saranno presenti i due registi, mentre la proiezione di martedì 13 dicembre alle ore 21:30, sarà introdotta da Silvia Tarquini, direttrice di Artdigiland, che dialogherà con i due autori. ‘Telling my son’s land’ sarà quindi, dal 13 al 19 dicembre visibile in streaming su MYmovies in occasione della settima edizione dell’Italy on the screen Today NewYork Film&TvSeries Fest. La manifestazione, sostenuta dal Ministero della Cultura – Direzione Generale Cinema e diretta da Loredana Commonara propone la migliore produzione italiana contemporanea e il film sarà geo bloccato agli Stati Uniti.
Telling my Son’s Land
Con nancy Porsia
Regia di Ilaria Jovine e Roberto Mariotti
Distribuzione: Blue Penguin Film
Durata: 84‘
Genere:documentario