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Salvare una vita è sempre una buona idea

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«La vita si salva, se vedi una persona che sta affogando la soccorri. Non è che le chiedi prima da dove viene e perché, la aiuti e basta. Per i cristiani è una questione evangelica, per tutti di umanità. Poi, quando sarà al sicuro, si potrà discutere di molte cose, ma dopo averla messa in salvo». Queste le parole chiare, semplici, nette del cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei, nel corso della diretta televisiva, intitolata “Salvare una vita è sempre una buona idea”, realizzata da ResQ – People Saving People domenica scorsa, su una ventina di emittenti del Circuito Corallo delle televisioni di matrice cristiana.

Tre ore di diretta condotta da Davide Demichelis con tanti ospiti: oltre al cardinale Zuppi, il missionario comboniano padre Alex Zanotelli, il vicedirettore di Caritas Italiana Paolo Beccegato, il presidente di Caritas Ambrosiana Luciano Gualzetti, ma anche Lella Costa, Alessandro Bergonzoni, Gad Lerner, il direttore di Avvenire Marco Tarquinio, la responsabile della Comunicazione di ResQ Cecilia Strada. E ancora Stefano Bettera, membro del Consiglio europeo dell’Unione Buddhista; Cristina Cattaneo, docente di Medicina Legale all’Università di Milano e direttore del Labanof (il Laboratorio di antropologia e odontologia forense); don Roberto Ponti, direttore di Telenova, Matteo Fiorini, presidente di Xmas Project, e tanti altri.

«I dati del nostro Rapporto Migrantes», ha detto ancora il Presidente della Cei, «sono terribili sul numero di morti nel Mediterraneo. Bisogna evitarlo. Punto. Su questo non si discute. Qualcuno dice “sì, però”. Non c’è però. Se tuo fratello, tuo padre, tua madre, tuo figlio sono in mezzo al mare non c’è però. Se viene messo in discussione che le persone non possano essere lasciate affogare… be’, questo è pericoloso, per tutti».

Una lunga maratona televisiva, rilanciata in diretta anche sui social network, che si è svolta nelle stesse ore in cui trapelavano le notizie di un prossimo decreto legge del governo che porrebbe nuove limitazioni all’azione di ricerca e soccorso da parte della flotta civile, le cosiddette navi delle Ong che sono diventate l’unica presenza nel Mediterraneo centrale. Nuove norme che sembrano avere lo scopo di ostacolare gli interventi di soccorso e di sanzionare l’azione umanitaria, come ha sottolineato padre Alex Zanotelli: «È chiaro», ha commentato, «che il governo italiano andrà avanti a metterci il bastone fra le ruote. Diventa fondamentale avere altre navi che salvino vite umane, che è un dovere sacrosanto di ogni essere umano. Cinque anni fa il Guardian pubblicò i 32 mila nomi delle persone morte nel Mediterraneo. Oggi saranno diventate 50 mila o forse 100 mila. È qualcosa che rimarrà nella coscienza dell’Occidente. Diranno di noi quello che oggi noi diciamo dei nazisti. Fare questo è criminalità pura. C’è bisogno di sempre più aiuti, innanzitutto da parte della gente comune».

Sull’annunciato nuovo decreto governativo si è pronunciata anche Francesca De Vittor, ricercatrice e docente di Diritti dell’uomo presso l’Università Cattolica di Milano: «Riguardo al fatto che i migranti possano fare richiesta di asilo e di protezione a bordo della nave che li ha soccorsi è una delle strade idee che escono da un cappello che non esiste. Detto in modo molto semplice, indipendentemente dal motivo per cui le persone sono in mare, sono dei naufraghi. La nave che interviene fa quello che deve fare in base al diritto internazionale: soccorrere. Ma non è compito del comandante della nave stabilire chi ha diritto o meno all’asilo politico o alla protezione umanitaria. Nessuna norma internazionale permette di attribuire al comandante di una nave un obbligo del genere». Francesca De Vittor definisce parimenti «privo di fondamento giuridico» un altro dei punti annunciati dalla stampa del nuovo decreto, ossia il fatto che dei naufraghi soccorsi in mare debba farsi carico lo Stato di bandiera della nave. «Lo Stato di bandiera» ha precisato la giurista, «può con la sua legislazione interna decidere che a bordo delle navi di quello Stato può essere fatta domanda d’asilo, come può decidere che lo si può fare nelle Ambasciate. Ma questo tutti gli Stati europei hanno evitato di farlo. Le politiche europee sono volte alla esternalizzazione delle frontiere. L’Italia può farlo con le sue navi, non con quelle degli altri Paesi. In ogni caso, resta il fatto che tutte le persone naufraghe hanno diritto a essere sbarcate, e che ciò avvenga in un luogo sicuro. Dopo, solo dopo, le autorità dello Statolo valuteranno il diritto a chiedere asilo, con procedure precise. Perché le persone non possono essere rimandate in Paesi a rischio di persecuzione o di violazioni dei diritti umani. La valutazione dev’essere molto attenta, e non può essere fatta a bordo della nave».

«Almeno la metà delle vittime del Mediterraneo non ha un nome. Cerchiamo di identificare le persone che hanno perso la vita. Che non è importante solo per la dignità di chi è morto, ma anche per i vivi, le madri, i padri, i parenti». Lo ha spiegato Cristina Cattaneo, che al lungo lavoro di identificazione dei morti ha dedicato anche un libro: “Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime del Mediterraneo” (Raffaele Cortina Ed.). «È un lavoro che non può essere demandato alla società civile. Va fatto da governi europei», ha aggiunto. «Questi ragazzi hanno in tasca gli auricolari, le pagelle, le fotografie, le cose più care, esattamente come i nostri figli. Leggiamo sui loro corpi anche le torture che hanno subito».

Nel discorso della diretta televisiva un tema centrale è stato quello dell’informazione, troppo spesso infarcita di fake news, distorsiva e disinformante. «Negli ultimi 25-30 anni il giornalismo che racconta il mondo si è ridotto», ha sottolineato Marco Tarquinio. «C’è un ripiegamento, guardiamo molto il nostro ombelico, i problemi interni. Mettiamo sempre più l’io al posto del noi. Ma è anche vero che ci sono elementi di resistenza molto forti», come nel caso di Avvenire. Parlare di “casa nostra” è ciò che gli elettori vogliono: è questo che spesso si sente dire da parte di chi guida i media. «Nascondersi dietro il “è quello che vogliono i lettori” è un modo volgare per giustificare le nostre scelte», ha risposto il direttore di Avvenire. «C’è tanta gente che cerca altro, che vuole sapere, che vuole capire perché il mondo ci viene in casa».

Alla trasmissione hanno partecipato anche la maestra Lella Casati insieme ad alcuni ragazzini della scuola primaria Bacone che hanno raccontato della “loro” nave di soccorso: il progetto realizzato in collaborazione fra ResQ e l’associazione Xmas Project che ha permesso a diverse centinaia di bambini, di “andare in mare” con le navi che hanno realizzato nell’ambito del percorso che hanno svolto in classe. Uno di loro ha ben sintetizzato, con le parole semplici del bambino, il senso della trasmissione: «Siamo tutti stranieri. Ma ognuno di noi è speciale. E se è speciale, in mare occorre salvarlo».

Una parola conclusiva a Cecilia Strada: «Noi di ResQ siamo nati per smettere il prima possibile. Perciò facciamo tanta attività nelle scuole, perciò abbiamo realizzato anche questa trasmissione: occorre cambiare la sensibilità collettiva su questo tema in modo che gli Stati, l’Italia e l’Europa torni a fare quello che va fatto: non gli accordi con la Libia dove le persone vengono abusate, estorte e torturate, ma l’azione di soccorso che salvi decine di migliaia di vite umane. Quando questo avverrà noi e le altre navi della flotta civile saremo finalmente inutili e potremo fermarci, ma fino ad allora continueremo ad andare a soccorrere chi rischia di morire nel Mediterraneo. Essere a bordo della nostra nave, la ResQ People, a salvare vite è uno dei regali più grandi che la vita mi abbia fatto».

Luciano Scalettari*
Giornalista e presidente di ResQ – People Saving People

www.resq.it


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