Rd Congo, il racconto degli orrori che il mondo non vuole vedere

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“Sai che i congolesi dell’ est, in particolare a Bukavu e nella sua foresta, hanno subito delle violenze inumane inflitte dai rwandesi.  Uccidevano i neonati pestandoli nei mortai di legno usate per macinare il cibo. Facevano violentare le mamme dai loro figli in presenza della famiglia. Abusavano delle ragazzine coi i piloni per la cucina… Antonella , il mio cuore potrebbe esplodere dai rigonfiamenti di dolore e di traumi”.
Il racconto di padre Pietro Rinaldi e di quelli che ti tolgono il fiato. In sei anni trascorsi nella Repubblica democratica del Congo ne hai visti di orrori.
Ha ascoltato le testimonianze di chi è riuscito a fuggire da quelle atrocità che si fa fatica a credere siano state perpetrate da esseri umani, compresi atti di cannibalismo.
“La miseria, Antonella, strappa via anche l’ultimo brandello di dignità e di umanità. In alcuni villaggi hanno mutilato e mangiato le persone.  A livello ancestrale era il modo di umiliare il nemico. Non so più nemmeno da quanti anni, decenni, la nostra gente arranca come topi nella bottiglia. A volte mi sembra di impazzire dal dispiacere e dal non poter fare nulla” l’amara e disperata conclusione del missionario profondamente legato al Congo.
Nel paese della Regione dei grandi Laghi, più ricco di risorse di qualunque altro, da anni si combatte una guerra dimenticata che da alcuni mesi ha visto un’escalation militare che sta causando migliaia di vittime.
L’ultimo massacro è di pochi giorni fa, il 29 novembre, circa 300 vittime tra cui molti bambini uccisi in una chiesa e in un ospedale di Kinshishe.
Il bilancio dell’attacco ai civili perpetrato dai ribelli del movimento M23 nel villaggio della regione del Nord Kivu è destinato a salire, come ha annunciato il ministro dell’Industria Julien Paluku, ex governatore della regione, dopo che una prima stima dell’eccidio parlava di 50 morti.
Nelle ultime settimane la situazione in Congo è precipitata, portando a un livello di tensione politica e militare tra Kinshasa e Ruanda che non si registrava da decenni.
I ribelli del M23, per lo più guerriglieri tutsi, dopo 10 anni di inattività hanno ripreso la via dei monti e in breve tempo hanno conquistato villaggi di frontiera e centri nevralgici della regione mineraria del Nord Kivu. Lasciando una lunga scia di morte.
Orrori confermati dai missionari impegnati lungo i fronti aperti di questo conflitto che non smettono di dare accoglienza e assistenza alle centinaia di migliaia di sfollati in fuga dagli scontri tra le Forze armate della Repubblica democratica del Congo e i miliziani ruandesi.“Quello che avviene nell’Est del Paese è più grave di ciò che viviamo  a Plateau ma anche qui sta accadendo qualcosa di terribile: si blocca la vita, la violenza  porta la paura, si arriva ad atti disumani come mutilare la gente, magiare la gente… C’è tanta disperazione, c’è tanta fame perché qui si vive con l’agricoltura. Chi lavora la terra mangia, chi non lavora come fa a procurarsi cibo? La gente ha paura di andare nei campi e rimane a casa. E come fanno a mangiare?” aggiunge padre François Mpunga Mukunya, superiore della missione di Plateau.
Nonostante l’aiuto che da sempre porta alle popolazioni africane, anche la Chiesa è pesantemente presa di mira dai ribelli.
“La parola giusta, quella che dovremmo usare se volessimo davvero parlare di quanto accade nel Kivu è genocidio, esattamente come di genocidio tra Hutu e Tutsi si parlò portando all’attenzione del mondo un crimine contro l’umanità commesso in Ruanda nel 1994” afferma monsignor Melchisedec Sikuli Paluku, vescovo di Butembo-Beni.
L’alto prelato non nasconde che per lui “il peccato originale” della crisi ventennale in Congo sia da addebitare al Ruanda, che da vittima si è fatto aggressore.
“Non parlo semplicemente di persone uccise, parlo di massacri veri e propri: di donne incinte squarciate, di cose che non si possono ripetere e guardare due volte, sono tragedie che noi vediamo ogni giorno”..
Dopo vent’anni di guerra e sette milioni di morti – e a 12 anni dal rapporto che documentò  617 casi di gravi violazioni dei diritti umani avvenuti nella Repubblica democratica del Congo tra il marzo 1993 e il giugno 2003 – la Repubblica Democratica del Congo è sempre più vicina a uno scontro militare diretto con il Ruanda.
Quel rapporto già allora testimoniava il massacro di congolesi da parte del vicino Ruanda.
Oggi con l’avanzata del M23 la situazione ha raggiunto gli stessi livelli di atrocità.
E non può che andare peggio, nel silenzio e nell’ignavia della comunità internazionale.


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