BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Modesta e noi, nessuna vita è uno “scarto”

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Modesta Valenti è la donna alla quale è dedicata la via della residenza fittizia per le persone senza fissa dimora di Roma. Morta il 31 gennaio del 1983 alla stazione Termini di Roma, la sua tragica storia mette in evidenza l’indifferenza della nostra società.

Di Modesta Valenti, con ogni probabilità, se ne occuperanno in pochi. Del resto, era una persona povera, originaria di Trieste e con alle spalle un passato intriso di sofferenza, dolore, rifiuto. Una “vita di scarto”, dunque, per riprendere la definizione che ha utilizzato papa Francesco a proposito delle persone come lei. Era stata anche in un ospedale psichiatrico, dove, a quanto pare, aveva subìto trattamenti che l’avevano annientata nell’anima prim’ancora che nel corpo. Era, infine, arrivata a Roma, forse perché voleva vedere il papa, e viveva in strada, senza conoscere nessuno, chiedendo l’elemosina con rara discrezione e dignità. La sua unica famiglia era la Comunità di Sant’Egidio, per il resto non aveva nessuno e nessuno, eccetto qualche volontario e qualche persona animata da particolari valori morali, era disposto a battersi per lei. Un tempo, oltretutto, l’inverno era inverno per davvero. Faceva freddo e il gelo, per una donna che aveva superato i settanta, costretta a vivere in strada, poteva risultare fatale. Fu così che il 31 gennaio 1983 Modesta si sentì male alla stazione Termini, dove dormiva. Qualcuno chiamò i soccorsi ma il personale dell’ambulanza che giunse sul posto si rifiutò di farla salire a bordo, in quanto purtroppo aveva i pidocchi. Fu così che morì, in condizioni atroci, gettata sul ciglio di una strada.

Ebbene, la storia di Modesta, oggi diventata il simbolo di tutti i senzatetto, quasi una santa laica, è estremamente attuale. È la storia di una vita ai margini della nostra ipocrisia, nel contesto di una società violenta ed escludente, gratuitamente malvagia, sempre pronta a puntare il dito e a scagliarsi contro chi è più fragile. È una storia che dovrebbe indurci a riflettere. Quante Modesta vediamo, oggi, nelle nostre strade? Quante volte restiamo indifferenti davanti ai loro occhi, alle loro mani tese e alle loro suppliche? Certo, non possono essere i singoli a cambiare lo stato delle cose; fatto sta che la povertà sta aumentando giorno dopo giorno e contro chi vi scivola si stanno diffondendo pericolosi sentimenti di astio e quasi di ripulsa. Non è un problema solo italiano: l’America è piena di grandi città sfavillanti in cui, di notte, sui marciapiedi, un’umanità lacerata dorme ai piedi dei colossi del lusso, in cui i manichini riposano al caldo con indosso abiti da migliaia e migliaia di dollari mentre dei disperati giacciono a terra con addosso qualche abito vecchio, pochi cartoni e una coperta per ripararsi dal freddo. È di fronte a scene come queste che dovremmo interrogarci su cosa siamo diventati, su cosa sia diventata la nostra società e su quanta ingiustizia siamo ancora disposti ad accettare. La pandemia ha messo a nudo tutti i nostri limiti ma non sembra, per il momento, aver risvegliato le coscienze, per quanto si stiano diffondendo dei movimenti che chiedono un radicale cambio di passo e cominciano finalmente ad avanzare proposte in discontinuità rispetto si mantra che hanno dominato gli ultimi decenni.


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