Un anno nero come il 2022, segnato dalla guerra contro l’Ucraina in Europa e dalla guerra contro le donne in Iran e Afghanistan, non si vedeva dagli anni Novanta, segnati dai due genocidi in Ruanda e Bosnia e da efferati crimini di guerra in varie parti del mondo.
Chi fa parte dei movimenti per i diritti umani è per sua natura ottimista: è visionario, non perché fugga dalla realtà ma perché ha una visione di come le cose dovrebbero andare.
La visione del 2023 è, dal punto di vista di Amnesty International, è che le guerre sopra citate così come altre che conosciamo meno cessino e che vi sia pace con la giustizia e non senza.
Nel luglio del prossimo anno ricorrerà un quarto di secolo dall’adozione, a Roma nel 1998, dello Statuto del Tribunale penale internazionale: il migliore strumento di giustizia che abbiamo, tuttavia a lungo relegato a occuparsi di guerre africane. Eppure, le indagini aperte sono molte (Palestina, Libia, Afghanistan e ovviamente Ucraina) e altrettante potrebbero essere le scalfitture al muro dell’impunità, che è l’architrave del sistema internazionale di violazione dei diritti umani. La giustizia internazionale potrebbe portare non pochi capi di stato e di governo dai loro lussuosi palazzi direttamente nell’aula di un tribunale.
Un grande auspicio è che, nelle relazioni bilaterali e internazionali, i diritti umani salgano di priorità. La corsa a diversificare le fonti di idrocarburi per evitare di finanziare la guerra della Russia contro l’Ucraina ha ulteriormente rafforzato i legami di dipendenza con stati governati in modo autoritario: l’Algeria, gli stati del Golfo, l’Azerbaigian e naturalmente l’Egitto: a febbraio, con la nuova udienza per Patrick Zaki e la decisione del Gup sull’avvio o meno del processo contro i presunti e finora contumaci assassini di Giulio Regeni, sapremo se qualcosa sarà cambiato.
Per quanto riguarda l’Italia, le nostre campagne saranno ispirate al messaggio lanciato durante la campagna elettorale: sui diritti non si torna indietro. Un messaggio che, dopo i primi mesi del governo Meloni, è diventato piuttosto un allarme.
Una delle più grandi sfide, infine, sarà quella di resistere alla tendenza globale alla criminalizzazione. Delle donne che rivendicano i loro diritti, della stampa libera e indipendente e anche del nostro mondo: quello della solidarietà, del soccorso, dell’accoglienza. Parole che devono restare nel vocabolario del bene, del giusto e del bello e non finire nel codice penale.
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