Amnesty International aveva messo in guardia: alla repressione delle proteste nelle strade delle città iraniane si sarebbe aggiunta quella sul patibolo.
Così, ieri all’alba Mohsen Shekari, 23 anni, è stato impiccato. Arrestato appena tre settimane prima, era stato sottoposto a un processo farsesco, senza un avvocato di sua scelta, visibilmente tumefatto nelle immagini che la tv di stato non aveva mancato di mandare in onda.
Si rischia così un bagno di sangue. Nella totale assenza di trasparenza delle autorità giudiziarie iraniane, le organizzazioni per i diritti umani cercano faticosamente di ricostruire i nomi dei prigionieri che rischiano di essere i prossimi in questa macabra catena di montaggio della morte. Tra coloro che sono stati già condannati, quelli che sono sotto processo e quelli che sono stati incriminati per reati capitali, si arriva a quasi 30. Il numero è destinato ad aumentare giacché il totale dei manifestanti arrestati in queste settimane supera i 15.000.
La comunità internazionale non può stare a guardare. Bene le condanne arrivate da diverse capitali europee, cui è auspicabile si aggiunga anche Roma. Ma il rischio è che oltre a queste prese di posizione non si faccia altro. Invece, si dovrebbe esercitare il massimo della pressione politica sulle autorità iraniane. Altrimenti, sarà un massacro.
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