Fatima ha emesso il suo primo vagito sul molo di Lampedusa il 20 dicembre scorso. Non c’è stato tempo di trasferire in ospedale in Sicilia la mamma, una donna ivoriana partita dalla Tunisia con altre decine di uomini donne e bambini su una di quelle barche fatte di lastre di metallo incollate. Le doglie a bordo della motovedetta che li soccorre, il parto sulla banchina. L’immagine più bella di questa Natività migrante quella scattata al Poliambulatorio di Lampedusa con la puerpera, la neonata, i medici e i sanitari dell’emergenza sbarchi e del 118. Loro che tornano a sorridere il giorno dopo l’ennesima tragedia: una bambina di soli due anni e mezzo morta per annegamento nell’ennesimo naufragio a due passi da una Porta d’Europa sempre più sbiadita. Questa bimba si chiamava Rokia. Come lei anche Loujin, Yusef, Mohamed e chissà quanti altri piccoli di cui non conosciamo il nome hanno concluso il loro viaggio: morti annegati o di stenti. Lasciati alla deriva per giorni senza che nessuno si fosse curato dei disperati appelli di madri e di padri che hanno visto spegnersi tra le loro braccia i propri figli. A Lampedusa il sindaco Filippo Mannino, eletto con un lista civica vicina all’attuale governo, non riesce a nascondere il dispiacere all’ennesima richiesta di trovare una bara bianca per la un’altra piccola vittima recuperata in mare: almeno dieci da inizio del suo mandato a giugno del 2022.
Eppure sembra che l’infanzia di questi bambini possa essere violata. Succede quando le imbarcazioni dei migranti si lasciano arrivare in acque nazionali prima di attivare i soccorsi, anche se a bordo ci sono donne e bambini. In mare restano a operare in acque internazionali le navi delle ong. Con sempre più paletti a ostruire la strada. Tra le regole che il governo italiano sta studiando per il nuovo codice di condotta, una prevede la richiesta del porto al primo soccorso con l’obbligo di non effettuarne altri prima dell’arrivo. La strategia del ministero dell’Interno prevede che il porto venga assegnato il più lontano possibile. Così si aprono Gioia Tauro, Livorno, Taranto e poi chissà dove. Una disposizione che contrasta con il diritto internazionale del soccorso a mare e che rende più disagevole e faticoso il viaggio, anche a donne, minori e disabili. Un modo per tenere più lontane le navi umanitarie dalla zona di ricerca e soccorso nel tentativo di rallentare i flussi via mare dal nord Africa che però non si arrestano. Anzi aumentano anche negli ultimi giorni di un anno in cui gli sbarchi in Italia sono aumentati di circa il 45% rispetto al 2021 senza soluzione di sosta.
Quello che non cambia da anni è il modo in cui vengono date e recepite le notizie su chi approda nel nostro paese. Con sempre più difficoltà per i reporter di raccogliere informazioni e testimonianze dai diretti interessati che sembrano ombre sfumate. È così che domina l’indifferenza: anche verso i bambini che spirano chiedendo alla mamma con un filo di voce un sorso d’acqua, o bruciati nell’incendio scoppiato sulla barca in avaria sulla quale viaggiavano.
Indifferenza verso tutti quelli ai quali si nega il futuro solo perché involontariamente sono entrati nel vortice di scellerati trafficanti e di inadeguate politiche di contenimento dei flussi.
Indifferenza che non tocca però chi anche nei giorni di festa in terra, in mare, nei porti, queste persone le soccorre, le sfama, le cura: e chi fa nascere nuove vite anche su una banchina del molo Favaloro a Lampedusa. Perché c’è ancora chi lavora per salvare vite e per cercare di dare la speranza di un futuro migliore di quello che ci si è lasciati drammaticamente alle spalle.