Non l’abbandono all’inerzia, bensì proprio il suo contrario: è la vivacità del popolo e delle sue élites da tempo plurali per etnie e culture ad animare la storia corrente del Perù, anche nei momenti più drammatici. Ma le laceranti disuguaglianze sociali, che sono anche disuguaglianze di coscienza e di partecipazione, così come quelle tra città e interno del paese profondo, continuando a intralciare democrazia e sviluppo ne frustrano gli sforzi di riscatto. Poteri non sempre legittimi impediscono il consolidamento delle istituzioni e dei suoi organi di controllo. E’ utile tenerne conto per non ridurre a stereotipo l’episodio residuale e indubbiamente un po’ grottesco dell’autogolpe fallito nei giorni scorsi dal presidente Pedro Castillo, 56 anni, espressione di una sinistra non meno frantumata della società. Dopo un anno e mezzo di crisi ricorrenti, ha tentato il colpo di forza. Le Forze Armate non si sono lasciate però coinvolgere. Minacciato di scioglimento, il Parlamento lo ha destituito e fatto arrestare.
Non meno esile, tuttavia, appare la figura che immediatamente l’ha sostituito al vertice dello stato: per la prima volta si tratta di una donna, Elena Boluarte, 60 anni, fino a una settimana fa Vice e fedelissima di Castillo. Una funzionaria pubblica divenuta esponente di spicco della maggioranza di governo passata ieri l’altro d’un balzo con l’opposizione, così conservando l’incarico parlamentare e liberandosi dell’ormai ingombrante ex maestro e sindacalista rurale. E’ il terzo capo di stato nell’ultimo decennio che assume senza passare per il voto popolare. Anche lei proveniente come il predecessore da “Perù Libre”, una formazione di origine marxista sorta e cresciuta all’interno del paese, dalla quale si è distaccata recentemente in polemica con il suo leader, Vladimir Cerròn. “Sono, sempre sono stata di sinistra, ma di una sinistra democratica che rifiuta qualsiasi autoritarismo e a maggior ragione l’assolutismo”, ha dichiarato la neo- presidente.
La crescita dell’economia e la spinta all’integrazione sociale scaturite dalla riforma agraria e dalle nazionalizzazioni degli anni Sessanta-Settanta, certo incompiute, sono andate disperse per infine esaurirsi nella tragedia delle guerriglie dei due decenni successivi. La perversa utopia di Sendero Luminoso ha permesso ad Alberto Fujimori di mascherare a lungo il carattere autoritario e poi letteralmente delinquenziale del suo governo. Con il presidente che sensibile alla propria doppia nazionalità (ignota ai più), trescava con il governo di Tokio per concedergli una base marittima sulla sua costa; mentre il suo capo dei servizi segreti, Vladimir Montesinos, faceva grandi affari con il contrabbando d’armi e cocaina. La loro incriminazione e successive condanne carcerarie hanno costituito l’antefatto della catastrofica corruzione che avrebbe risucchiato uno dopo l’altro ben 4 altri capi di stato, da Toledo a Kuzcynski, a Ollanta Humala, ad Alan Garcia poi suicida per sottrarsi al disonore. Scampato ad accuse di corruzione mai finora provate, Castillo è finito al momento in una cella accanto al predecessore Fujimori, per lo strampalato tentativo di autogolpe a cui sembra averlo indotto una disperata impotenza.
A dispetto del suo non sempre lucido attivismo, non è riuscito a rimettere in moto la fallita integrazione etnica e sociale. Resi diffidenti dalle trascorse esperienze, gli indios sono rimasti arrampicati sulle vette andine, dispersi nella selva amazzonica, rannicchiati nei loro caseríos di lamiera e cartone. Il meticciato ammucchiato negli agglomerati suburbani. La classe media nella quasi totalità bianca trincerata nel comfort dei quartieri alti, senza però potersi scrollare di dosso l’inquietudine suscitata dalle sue stesse frange intellettuali e idealiste, disperse tra le università e le periodiche convulsioni della protesta violenta. Ciascuno chiuso nel proprio universo separato. Tutti progressivamente sgretolati da una corruzione che divenuta sistemica (lo scandalo sollevato negli anni scorsi dalle decine di milioni di dollari pagati in Perù dalla Odebrecht, la maggiore holding brasiliana delle costruzioni, in cambio di appalti pubblici, ha sconvolto l’intero sistema politico) non cessa d’infettare le menti non meno del narcotraffico con cui entra peraltro in simbiosi parassitaria.
L’esasperazione delle ore che hanno preceduto l’arresto del capo di stato peruviano sono state raccontate dal presidente del Messico, Andrès Manuel Lopez Obrador. Castillo gli ha telefonato per chiedergli asilo politico. Lui ha ordinato immediatamente all’ambasciata messicana a Lima di aprirgli le porte e riceverlo insieme alla famiglia che l’accompagnava, garantendo loro assoluta protezione. Ma Castillo è stato arrestato prima che potesse raggiungere la sede diplomatica. “Dal primo istante in cui un anno e mezzo fa ha vinto legittimamente le elezioni -ha commentato Lopez Obrador-, è stato vittima degli avversari politici. In prima fila, gli esponenti delle èlites economiche e politiche lo hanno subito cominciato a denigrare, non accettando di poter essere governati da un uomo che definivano un montanaro. E questo è ciò che più mi indigna.”