Esattamente 75 anni fa veniva approvata la nostra Costituzione, sintesi di tre anime, ovvero per dirla con De Gasperi le «tendenze universalistiche del Cristianesimo, quelle umanitarie di Giuseppe Mazzini, quelle di solidarietà del lavoro, propugnate dalle organizzazioni operaie» e — cosa che non si sottolinea mai abbastanza — frutto anche del significativo apporto delle donne: 21 erano quelle elette all’Assemblea Costituente, tutte testimoni di impegno e di lotte che hanno fatto l’Italia dal basso, prima liberandola dal nazifascismo e poi partecipando nel modo più concreto possibile alla ricostruzione. Ne parla la giornalista Annachiara Valle nel libro, uscito di recente per la San Paolo con prefazione di Rosy Bindi, “Le donne della Repubblica. Una Costituzione che diventa reale”, dove l’autrice racconta il contributo delle Madri Costituenti — nove comuniste e nove democristiane, due socialiste e una del Partito dell’Uomo Qualunque — facendole parlare e dando molto spazio al dibattito che le ha viste protagoniste in particolare nella redazione degli articoli 3, 4, 20, 30, 31, 37, 49 e 51. Si chiamavano Adele Bei, Bianca Bianchi, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Filomena Delli Castelli, Maria Federici, Nadia Spano, Angela Gotelli, Angela Guidi Cingolani, Nilde Iotti, Maria Jervolino De Unterrichter, Teresa Mattei, Angela Merlin, Angiola Minella, Rita Montagnana, Marina Nicotra, Teresa Noce, Ottavia Penni Buscemi, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi, Vittoria Titomanlio.
Un omaggio che ci fa toccare con mano l’importanza della presenza e degli interventi di queste donne nel momento in cui si tracciava una mappa per far salpare la nostra giovanissima Repubblica, nel momento in cui si costruiva una bussola che avrebbe preservato il nostro Paese da rigurgiti autoritari e che ancora oggi, soprattutto oggi, è potente garanzia di equità e giustizia di fronte alla tentazione di comprimere le libertà. È grazie a questa Bibbia di tutti gli italiani, così Valle definisce la nostra Costituzione, un lavoro che ha richiesto cura e tempo, mediazione e nobili compromessi, che «l’Italia pur con le sue cadute e le colpe ancora da spiegare, ha tenuto stretta la sua democrazia». Nel momento in cui si faceva l’Italia le donne c’erano, erano poche (le percentuali sono cambiate, ma oggi la situazione non è poi così diversa) ma c’erano. E si facevano sentire. Portando problemi concreti, come l’adeguamento delle pensioni al costo della vita, la richiesta di assegnare il premio della Repubblica alle vedove di guerra e alle mogli dei prigionierie la proposta di utilizzare i gioielli della corona per assistere bambini e adolescenti, ma anche facendo interventi di principio sulla parità salariale, la tutela delle donne lavoratrici, il riconoscimento dei figli illegittimi.
Risuonano temi che tre quarti di secolo dopo conservano quasi intatta la loro attualità, come la convinzione che «nessun progresso sostanziale si produce nella vita di un popolo se esso non sia accompagnato da una piena emancipazione femminile», come la consapevolezza che le donne non debbano replicare i modelli maschili mascolinizzandosi, come la constatazione che è «purtroppo ancora radicata nella mentalità corrente una sottovalutazione della donna, fatta un po’ di disprezzo e un po’ di compatimento, che ha ostacolato fin qui grandemente o ha addirittura vietato l’apporto pieno delle energie e delle capacità femminili in numerosi campi della vita nazionale». E già allora, racconta Valle, i colleghi uomini usavano termini denigratori e i giornalisti si preoccupavano più di come erano vestite che di quello che avrebbero detto. Tutti passaggi quelli citati poc’anzicontenuti in un appassionato intervento tenuto da Teresa Mattei, la più giovane delle Costituenti, il 18 marzo 1947, in cui insiste perché nell’articolo 7, che sarebbe poi divenuto il 3 della nostra Carta costituzionale, siano inserite le parole “di fatto”, impegnando così la Repubblica a rimuovere quegli ostacoli che limitano, appunto di fatto, l’eguaglianza dei cittadini. In questo senso gli argomenti che più infiammano gli animi sono il principio della parità tra i coniugi e l’accesso alla magistratura, che alle donne com’è noto sarà possibile solo a partire dal 1963: si parla di attitudini, requisiti e merito, del fatto che «il matrimonio non è una professione» e non dev’essere usato per sopperire alla non indipendenza economica, della necessità di riconoscere il lavoro domestico sebbene non salariato.
Quanta lungimiranza in quelle considerazioni, quanta concretezza! Non poteva non essere così, dal momento che tutte le costituenti avevano alle spalle vita vera e non accademia (per quanto al di là dei titoli fossero tutte preparate e aggiornate), anni se non decenni a servizio delle persone più fragili, a contatto con le categorie più bistrattate, durissimi sacrifici personali. Ma dietro di loro c’erano anche delle comunità, dei collettivi, c’era un “Noi”: dal sindacato all’Azione Cattolica al partito, sapevano di non essere sole e di avere la responsabilità di rappresentare mondi carichi di istanze.
21 donne molto diverse tra loro, sia per età che per formazione che per schieramento di appartenenza, ma accomunate dalla stessa passione e motivazione, capaci — come sottolinea Rosy Bindi nell’introduzione — di portare avanti battaglie trasversali e di fare alleanze senza annacquare le distinzioni. E di guardare lontano, affermando i diritti fondamentali della persona ma anche indicando la strada della loro concreta attuazione. Una strada lunga e piena di ostacoli lungo la quale altre donne coraggiose hanno fatto scelte decisive per rendere uguaglianza formale e uguaglianza sostanziale meno distanti: dall’imprenditrice Luisa Spagnoli alle donne testimoni dei campi di concentramento, da Francesca Serio che per prima si ribellò all’omertà mafiosa a Franca Viola che rifiutò il matrimonio riparatore, da Rosanna Olivo de Concilis che non si rassegnò all’esclusione delle donne dalla magistratura a Giulia Solomita Camera che per prima ottenne la patente per guidare un autobus. Per non parlare delle donne che presidiarono le istituzioni ottenendo risultati che sono ancora patrimonio comune e che dobbiamo fare attenzione a non dare per scontati: il Servizio Sanitario Nazionale, la chiusura dei manicomi, la 194, una serie di norme a tutela della maternità ad opera di Tina Anselmi, la partigiana Gabriella, la prima ministra della nostra Repubblica; la legislazione a favore dei ragazzi con disabilità e il Piano nazionale Informatica ad opera della ministra Falcucci, tanto per citarne 2 su 167: questo il numero delle donne che hanno ricoperto incarichi di Governo fino al governo Draghi su un totale di 1616 politici.
In conclusione Annachiara Valle ci ricorda che «ci sono voluti sacrifici, studio, testardaggine e professionalità per mettere in pratica quello che le leggi sanciscono in via teorica» da parte di donne « che hanno rischiato (e a volte perso) la vita perché altre donne potessero vivere degnamente e con gioia la propria»: dobbiamo essere loro grate per aver promosso i diritti di tutti. E dobbiamo essere grati all’autrice per avercelo ricordato in maniera così efficace attraverso questo libro, invitandoci a non abbassare la guardia, perché nessuna conquista è per sempre. Non dimentichiamolo.
Annachiara Valle, “Le donne della Repubblica. Una Costituzione che diventa reale”, Edizioni San Paolo, 2022, pagg. 224